Le Comunità Ebraiche in Italia


Le prime tracce della presenza ebraica nel nostro Paese risalgono al 168 a.e.v. Si stima che all'epoca a Roma vi fossero circa 30.000 ebrei. Nel 70 e.v. Gerusalemme è rasa al suolo dalle legioni di Tito, il Tempio è distrutto e i prigionieri affluiscono a Roma a migliaia. Altre comunità ebraiche sorgono, specialmente nel Meriodione, a Pompei, a Capua, a Fondi, nelle Puglie, in Calabria e in Sicilia.

Le prime discriminazioni statuali contro gli ebrei sono adottate dall'imperatore Costantino che vieta le conversioni all'ebraismo e proibisce agli ebrei di avere schiavi cristiani. Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, gli ebrei si trovano sparsi in tutta Italia, a Bologna, Ferrara, Trieste, Torino ed in molti centri minori.

Un breve periodo di benessere sarà quello normanno che consentirà agli ebrei di condurre una vita relativamente normale e di espandersi socialmente e culturalmente: sarà Federico II lo Svevo a promulgare nel 1231 a Melfi una serie di leggi, raccolte nel Liber Augustalis, che garantiscono agli ebrei la parità con gli altri cittadini. Con la fine del periodo normanno hanno inizio le prime persecuzioni con una serie di violenze che verranno ricordate a Napoli con il nome dato a una strada: "Via Scannagiudei".

Alla metà del XV secolo, l’Italia è divisa in una serie di piccoli Stati che accolgono gli ebrei anche in piccoli centri: a Saluzzo, Asti e nel Monferrato, e poi a Venezia, Mantova, Modena, Ferrara e Firenze. Nel 1492 il papa Paolo IV emette la bolla Cum nimis absurdum. In essa si dice che “è assurdo e sconveniente al massimo grado che gli ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna. Possano, con la scusa di essere protetti dall’amore cristiano e tollerati nella loro coabitazione in mezzo a noi, mostrare tale ingratitudine verso i cristiani da oltraggiarli per la loro misericordia e da pretendere dominio invece di sottomissione”. Questi ebrei, si legge ancora, osano “vivere in mezzo ai cristiani” e perfino “nelle vicinanze delle chiese”, si vestono come gli altri, senza perciò potersi fare riconoscere, comprano case, assumono balie cristiane, insomma, commettono questi e "numerosi altri misfatti a vergogna e disprezzo del nome cristiano". La bolla papale impone agli ebrei di abitare in una o più strade, dove non ci sia possibilità di contatto con i cristiani: è l'istituzionalizzazione del ghetto. Gli uomini sono obbligati a portare un verretto che li distingua; le donne un velo o uno scialle, sempre con caratteristiche tali da rendere subito noto la loro identità. Ogni contatto con i cristiani, di lavoro o amicizia, è vietato. Agli ebrei è vietato ogni tipo di lavoro, d'arte o di commercio che non sia il traffico di stracci e di abiti usati - "solo arte strazziariae seu cenciariae". Col succedersi dei papi, Pio V, Gregorio XIII, Sisto V, Clemente VII, le condizioni di vita degli ebrei non mutano.

Con la Rivoluzione francese, gli ebrei italiani che sono circa 30.000 su una popolazione di 17 milioni, fanno il loro ingresso nella vita pubblica del paese. Con la Restaurazione e con il Congresso di Vienna la condizione ebraica torna, segnatamente nello Stato pontificio, al disgraziato punto in cui si trovava nel XVIII secolo. Con la parziale eccezione della città di Livorno dove il Granduca di Toscana incoraggia l'afflusso degli ebrei, garantendone la sicurezza con un decreto noto come "La Livornina". Anche in Piemonte tornano i ghetti. Nel Lombardo-Veneto vivono 7000 ebrei, che qui possono studiare e laurearsi. Condizioni simili si hanno in Toscana, a Parma, a Madonna, a Mantova. In quest'ultima città agli ebrei è consentito uscire di giorno dal ghetto e persino tenervi "granari e magazzeni, purchè si osservi la debita distanza dalle Chiese".

A partire dalla metà dell'800 la storia degli ebrei italiani si confonde sempre più con la storia d'Italia e gli ebrei partecipano ai moti risorgimentali. Alle campage che Garibladi conduce nel 1848 e nel 1849 partecipano 200 ebrei, a quando a Torino le responsabilità di governo sono affidate a Camillo Benso conte di Cavour, questi si avvale dell'opera di consiglieri e amici ebrei, come Ottolenghi, Todros, Vitta, Leonino. Segretario particolare di Cavour è un altro ebreo, Isacco Artom, mentre a dirigere il giornale governativo di Torino, "L'Opinione" è chiamato Giacomo Dina.

Con la presa di Roma nel 1870 da parte dei bersaglieri, viene abbattuto anche l'ultimo ghetto d'Europa. Un anno dopo la Camera dei Deputati già conta undici ebrei ed è ebreo, tra il 1907 e il 1913, il Sindaco di Roma Ernesto Nathan. La prima guerra mondiale vede anche gli ebrei italiani al fronte. Nel 1922 nel paese s'impone il fascismo, nei confronti del quale la posizione degli ebrei non è diversa da quella degli altri itaiani; chi è a favore, chi è contro, chi si rassegna. Nel 1930 dopo il Concordato tra lo Stato e la Chiesa avvenuto l'anno prima, viene approvata una legge che regola il funzionamento delle Comunità ebraiche. Alcuni ebrei italiani aderiscono a gruppi di opposizione, naturalmente clandestina, al regime. Tra loro i fratelli, Carlo e Nello Rosselli - assassinati in Francia da sicari fascisti - che hanno fondato il movimento di "Giustizia e Libertà", al quale aderiscono anche altri ebrei: Carlo, Mario, Riccardo Levi, Max Ascoli, Leone Ginzburg, Gino Luzzatto.

Nel 1938 vengono emanate le leggi razziali che riducono gli ebrei a cittadini di serie B cacciandoli dalle scuole, dalle professioni, isolandoli dalla società e privandoli di qualsiasi tutela. Nel primi giorni dell'invasione tedesca alcune migliaia di ebrei fuggono in Svizzera, altri passano la confusa linea del fronte e raggiungoono il sud d'Italia già liberato. Altri ancora, specie i più giovani, finiscono per raggiungere le formazioni partigiane. Molti cercano di nascondersi, ma un gran numero non ce la fa. Gli ebrei del vecchio quartiere ebraico di Roma, l'antico ghetto, sono colti di sorpresa.

Il 16 ottobre 1943 i tedeschi circondano il Ghetto di Roma e di colpo irrompono nelle case: arrestano uomini, donne, bambini delle loro abitazioni, li caricano su camioni, li avviano a una caserma di via della Lungara. Da qui pochi giorni dopo gli oltre mille ebrei caturati nella razzia vengono gettati su treni piombati e avviati a Fossoli e da qui ad Auschwitz, dove in gran parte saranno immediatamente uccisi. In totale sono deportati dalla capitale 2091 ebrei. In tutta Italia (comprese le isole dell'Egeo) vengono deportati oltre 8500 ebrei. Ne torneranno poche centinaia.

Tre anni dopo la fine della guerra, sulla base di una Risoluzione degli Stati Uniti, il 14 maggio 1948 viene fondato lo Stato di Israele e inizia il lungo conflitto mediorientale che non conoscerà né confini né rispetto per i più piccoli. Terroristi palestinesi il 9 ottobre 1982 attaccano i fedeli usciti dal Tempio Maggiore di Roma: Stefano Gay Tachè, un bambino di tre anni, è ucciso e decine sono i feriti. In quella stessa sinagoga, quattro anni dopo il 13 aprile del 1986, verrà accolto papa Giovanni Paolo II in una visita storica e senza precedenti che segnerà l'inizio di un nuovo dialogo tra ebraismo e cristianità.