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Il buongiorno di Twilight del 03/11/2010

slcontent

Dai Bororo e Tuareg del Sahara ai Mongoli e Khazakhi delle steppe asiatiche, sino ai Nenet e Dolgan della Siberia: sono i popoli nomadi. Vivono in ambienti ostili, negli angoli più remoti del pianeta, la mobilità è l'essenza stessa della loro vita. Ad accomunarli, il profondo legame con la Terra e la Natura. Un libro e una mostra raccontano questo affascinante mondo.

laura betti

IL DISCO DEL GIORNO
"Quella cosa in Lombardia", Laura Betti, da "Laura Betti con l'Orchestra di Piero Umiliani" del 1960, Jolly
"Quella cosa in Lombardia", su testo di Franco Fortini e musica di Fiorenzo Carpi, fu uno dei brani più audaci degli anni 60, in cui si parlava di problemi ben noti alle coppie di allora: "Caro, dove si andrà/diciamo così, a fare all'amore?/Certo è amore anche la fretta,/tutta fibbie, lacci e brividi,/nella nebbia gelata e sull'erbetta,/un occhio alla lambretta". Il pezzo venne fatto conoscere al grande pubblico da Enzo Jannacci che, con la sua interpretazione un po' stralunata, riuscì a "disegnare" molto bene l'atmosfera che si poteva respirare nella Milano della prima metà degli anni Sessanta. In realtà, fu Laura Betti a cantarla pubblicamente, per la prima volta, al Teatro Gerolamo di Milano e, poi, a inciderla su disco. Laura Betti, artista versatile, donna libera, dal carattere provocatorio e caustico, è stata una delle attrici più rappresentative del cinema italiano. Il suo nome è legato al lungo sodalizio artistico e umano che la unì a Pier Paolo Pasolini. L'esordio nel mondo dello spettacolo avvenne nel 1958 come cantante jazz, dopo una breve esperienza nel cabaret (1955) in coppia con Walter Chiari ne "I saltimbanchi". Nel 1959, prese parte al recital di canzoni intitolato "Giro a vuoto", dal contenuto singolare con brani ispirati ai testi di letterati celebri come Buzzati, Calvino, Flaiano, Bassani, Moravia, oltre che dello stesso Pasolini. Il cinema italiano propose il suo volto nei primi anni Sessanta, accanto a nomi di registi del calibro di Roberto Rossellini, Bernardo Bertolucci e, ovviamente, Pasolini. E proprio l'incontro con l'intellettuale friulano fu uno dei più importanti della sua vita; avvenne nel 1963 e diede vita a fruttuose collaborazioni: "La Ricotta", "Che cosa sono le nuvole", "La terra vista dalla luna", "Teorema" (con il quale l'attrice vinse la Coppa Volpi al Festival di Venezia) e nel 1972 "I racconti di Canterbury". Per Pasolini, la Betti era musa e amica, "una tragica Marlene, una vera Garbo con sopra al volto una maschera inalterabile di pupattola bionda", come lui stesso la definì. Per lei, Pier Paolo era il "suo uomo": "Ricordo e so di un giorno molto lontano in cui, tra tanta gente di cui non ricordo e non so, entrò nella mia casa un uomo pallido, tirato, chiuso in un dolore misterioso, antico […]. Ricordo quindi di aver deciso che quell'uomo era un uomo. Ricordo e so che quell'uomo che era un uomo, diventò il mio uomo…" . Un giorno, però, quell'uomo le venne "rubato" ingiustamente: "Ci fu un giorno in cui il sole si macchiò di sangue e tutti i giorni, da allora, si chiamarono 2-11-1975 […]. Poi mi portarono il corpo del mio uomo e lo stesero sulla mia tavola. […] Questo corpo era, appunto, a pezzi, sbranato, divorato. Mi misero in mano ago e filo per insegnarmi a ricucirlo. Capii che per uccidere loro avrei dovuto infilarmi dentro, ricucito, il mio uomo, affinché potesse parlarmi in segreto e spiegarmi. Ecco perché decisi – insieme a lui, come sempre – di non accettare, di disobbedire, di dare scandalo, di denunciare cosa può accadere ad un uomo pulito in un paese orribilmente sporco". L'affetto di Laura Betti per Pasolini andò anche oltre la morte dello stesso. Per anni direttrice del Fondo intitolato al poeta, scrittore e regista, era diventata regista lei stessa, per lavorare al film-documentario "Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno", presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2001. 

spirito nomade

IL LIBRO DEL GIORNO
"Spirito Nomade. I popoli dei deserti di sabbia, d'erba, di neve", Tiziana e Gianni Baldizzone, Gallucci, pp. 232
Vivono in condizioni ambientali estreme; affrontano ogni giorno la mancanza d'acqua, le tempeste e il gelo o il caldo rovente; sanno leggere ogni segno del cielo e della terra; rispettano gli animali; si spostano continuamente per non impoverire il territorio; onorano l'ospitalità e praticano la solidarietà; sono frugali e fieri; educano i figli alla dignità, al coraggio e all'amicizia. I popoli nomadi, dai Peul e i Tuareg del Sahara ai Kazaki delle steppe asiatiche ai Nenet siberiani, offrono una straordinaria risposta alle inquietudini e ai problemi del nostro tempo: l'esempio di una esistenza fondata in armonia con la natura. Con foto meravigliose e il racconto della loro esperienza trentennale, Tiziana e Gianni Baldizzone ci conducono attraverso lo spirito comune di queste genti: la condivisione e la trasmissione del sapere, la sobrietà dei bisogni, l'andare verso l'Altro. E ci invitano a riflettere su uno stile di vita diverso, per apprendere l'insegnamento e trarne uno stimolo per noi stessi.
I due fotografi "umanisti" hanno deciso di raccontare il loro viaggio tra queste popolazioni anche attraverso una mostra a cielo aperto - come ci si aspetta da un'anima libera – intitolata "Spirito Nomade". L'esposizione si fermerà a Torino fino al 10 gennaio, per raccontare, attraverso 80 scatti a colori, queste esistenze fondate sull'equilibrio e sull'armonia.

 

 

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