di Guido Barlozzetti
Cosa resterà di questi anni Ottanta, afferrati e scivolati già via?" Si chiedeva una canzone di Raf, con la sensazione che tutto, sentimenti, pubblicità, miti sorridenti da windsurf, amori, fosse arrivato alla fine, sulla soglia malinconica della sparizione.
A Milano dedicano al decennio una mostra, "un caleidoscopio visuale" la definiscono i curatori Cristina Quadrio Curzio, Leo Guerra, Mario Piazza e Valentino Catricalà, sulla scia del "decennio degli effetti speciali" coniato da Umberto Eco quando era già sopraggiunta Tangentopoli.
Trecento oggetti tratti da design, moda, arte e videoarte, televisione, grafica, pubblicità, fotografia, fanzine.. insomma, le concrezioni in cui ha preso forma e si è depositato l'immaginario di quegli anni o in cui si è consolidato il tentativo di ricostruirne una memoria.
Si intitola Reality '80, con una bussola, quegli anni chiudono un periodo, forse il Novecento, dopo stiamo da un'altra parte. E con un luogo, la "Milano da bere" che ne fu laboratorio, culla e viale del tramonto. Sono anni di mezzo, in cui tante cose si spostano, la realtà cammina verso lo spettacolo e diventa.. reality, l'economia si sposta verso la finanza, l'utilità degli oggetti si contratta con il valore - che diventa indispensabile - della loro immagine e con la griffe che alimenta culti e il bisogno individuale e di gruppo d'identità. E domina la pubblicità che fonda il suo regno fatto di stili di vita da promuovere, possibilmente all'insegna del consumo di qualcosa che non puoi fare a meno di acquistare e esibire.
Sono anni creativi in cui si celebra un matrimonio fra l'arte e il mercato, senza contrappunti conflittuali o nevrosi ideologiche molti artisti si dedicano all'arte applicata, mentre cadono le barriere tra i linguaggi e i territori, video, fumetti, illustrazione, grafica, fotografia, design, riviste.
Al centro dell'esposizione, alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese, si erge non a caso la piramide che Filippo Panseca ideò per il gigantismo del congresso del Partito Socialista che si tenne nel 1989 all'Ansaldo. Un totem, un feticcio, un segno/sogno che conteneva l'illusione di sé. Non solo uno show ma una derivazione delle sculture biodegradabili di solidi geometrici che l'artista-architetto aveva presentato alla Biennale di Venezia del 1974.
Il PSI di Bettino Craxi fu il partito degli Ottanta. Contro l'analogico delle ideologie e il realismo referenziale delle Chiese - la democristiana e la comunista - propugnò un'idea laica e aperta della comunicazione, in sintonia con il sentire del tempo a cui offrire simboli immediati e slogan costruiti per colpire l'immaginazione.
Nella mostra viene presentato il progetto di immagine coordinata del partito, il primo in Italia, curato da Ettore Vitale. La piramide di Panseca è uno degli oggetti-testimonial che rinviano a mode, comportamenti, modelli che conquistarono i giovani di allora, dal videogioco rivoluzionario Pac Man ai gadget che si nascondevano nelle merendine dei cosidetti paninari, una generazione nata nei locali di San Babila, abbigliamento griffato, gergo di riconoscimento e fast-food, fine dell'impegno politico e la nuova dea della pubblicità. Intorno, i Duran Duran, gli Spandau Ballet, Moncler, Fiorucci, Timberland.
Arte e applicazione si rimandano: da un lato i lavori della fucina artistica dell'ex-fabbrica Brown-Boveri e dell'ex-Pastificio Cerere di Roma, dall'altro le icone del design milanese, gli abiti di Antonella Ruggiero/Matia Bazar e di Carlo Massarini/Mister Fantasy, la sedia Galattica di De Lucci, la Tonietta di Enzo Mari, la Cabina dell'Elba di Aldo Rossi, il design neo-moderno del Gruppo Alchimia.
Cinquanta foto di Maria Mulas documentano i party luccicanti di un tempo che aveva messo alle spalle il terrorismo dei Settanta. Alla fine si arriva davanti ai resti del Muro che si sgretolò nell'Ottantanove berlinese. Stefano Rauzi ha rifatto il cartone preparatorio su pvc del murale giallo dipinto nel 1986 da Keith Haring sul versante ovest. Il mondo gira da un'altra parte.