Si avvicina Natale ed è il tempo del Presepe, che quest'anno è diventato anche un tema al centro del dibattito politico. Non solo ci si prepara a farlo, nelle case, nelle chiese o per le vie dei borghi, ma se ne discute all'interno di un discorso che coinvolge il senso di una tradizione e una battaglia sui valori che dovrebbero - oppure no - contraddistinguere la nostra società.
Chi sostiene a spada tratta che vada fatto per affermare il nostro ancoraggio a una storia in cui il cristianesimo è una radice fondante, chi dice che per rispettarne lo spirito più profondo sarebbe meglio evitare il formalismo di un'abitudine, chi lo eleva a baluardo di una civiltà, chi ne contesta il valore simbolico. E sarà il caso di ricordare - en passant - che la Costituzione dell'Europa ha ritenuto che di quella radice non si dovesse fare menzione.
Allora, è il caso di fare qualche passo indietro e vedere come si sia formata una tradizione millenaria che resiste alla secolarità del mondo moderno.
I Vangeli, da lì tutta parte e lì tutto torna, non danno molti particolari sull'ambiente in cui nasce Gesù. In quello di Luca si dice che "Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo".
Non si aggiunge altro, viene però indicato un elemento - la mangiatoia - che ha immediatamente la forza simbolica per indicare una condizione di disagio, povertà ed emarginazione. Gesù è collocato nel posto in cui mangiano gli animali, fuori dunque dagli ambienti riservati alla convivenza degli uomini. È il Bambino, il Figlio del Dio che sarà, e su quella mangiatoia primordiale va a costruirsi nel tempo una scena primaria con la relativa iconografia che trova un punto di arrivo e di passaggio (ri)fondante in Francesco d'Assisi.
La storia è nota e si svolge a Greccio, nel territorio reatino in cui il frate andava diffondendo un messaggio rivoluzionario in cui la povertà e la semplicità erano pilastri di un rinnovamento individuale e collettivo.
Francesco era tornato dalla Palestina, aveva visitato Betlemme e forte in lui era il desiderio di rievocare la nascita di Gesù, al punto che una volta tornato ne chiese al Papa Onorio III il permesso. A Greccio, nella notte di Natale del 1223, in una grotta pose una mangiatoia con il bue e l'asinello, a rievocare l'atmosfera dell'evento della Natività. Scrive Tommaso da Celano nella prima Vita di Francesco: "Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l'asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l'umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemme".
La descrizione che della notte dà il biografo è potente, intorno ai frati e la gente accorsa, Francesco pieno di gioia, la messa celebrata davanti alla mangiatoia, la sua predica sulla "nascita del re povero che lui chiamò il Bimbo di Betlemme", e addirittura un cavaliere che a lui si era unito, che vede apparire dentro la mangiatoia "un bellissimo bambino addormentato".
Nasce il Presepe che nel nome porta un riferimento al latino, prae/davanti e sepes/recinto e, da lì, si sviluppa una consuetudine che diventa artistica e popolare.
Il Presepe alimenta tradizioni secolari e preziose da Genova a Bologna e a Napoli, con veri e propri capolavori in cui labile è il confine tra l'arte e l'artigianato. Nel tempo si perfeziona un sistema iconografico fatto di ambienti e personaggi, con variazioni significative nella messa in scena da un contesto all'altro. E via via si estende la tradizione nel mondo della cristianità così da diventare il segno stesso del Natale insieme all'Albero.
E' stato Papa Francesco a ribadirne la coessenzialità: "Ci parlano del Natale e ci aiutano a contemplare il mistero di Dio fattosi uomo, per essere vicino a ciascuno di noi". E mentre l'Albero di Natale "con le sue luci ci ricorda che Gesù è la luce del mondo, è la luce dell'anima che scaccia le tenebre delle inimicizie e fa spazio al perdono e simboleggia Dio che con la nascita del suo Figlio Gesù si è abbassato fino all'uomo per innalzarlo a sé ed elevarlo dalle nebbie dell'egoismo e del peccato", il Presepe - osserva il Pontefice, davanti a quello in sabbia realizzato nella piazza di San Pietro - ricorda "la semplicità, la piccolezza e anche la fragilità con cui Dio si è mostrato con la nascita di Gesù nella precarietà di Betlemme".
Luogo di purezza, certo, e di trasparenza simbolica, che resiste nel tempo, il Presepe deve inevitabilmente ricontrattare il suo valore a fronte di una festività che diventa occasione di consumo e di mercato, nel contesto contraddittorio della multiculturalità.
Testimonianza di una fede che vede nella nascita del Bambino la sua luce primigenia, è inseparabile dall'apparato di una scena che coinvolge e meraviglia i bambini e lo spirito-bambino dei più grandi, e anche dal feticcio di una ritualità che si appaga di se stessa e appanna un messaggio che resta, quello sì, universale. In quella grotta si accende una Luce e la Vita si rappresenta nell'atto trascendente e immanente che la rigenera e la rilancia nella storia degli uomini.