Nessuno ricordava il nome di Riccardo Morandi, se non nella memoria della storia dell'ingegneria non solo italiana. Il crollo sconvolgente del ponte di Genova, a lui intitolato, lo ha riportato nell'attualità, purtroppo drammatica. Qualche elemento sul suo cammino professionale. Morandi nasce a Roma il primo settembre 1902 e si laurea in ingegneria nel 1927.
Comincia a lavorare sul consolidamento di chiese in Calabria, edifici e cinema. E' affascinato dalla nuova tecnica del calcestruzzo armato precompresso, lo studia e mette a punto nel 1948 un brevetto. E' la svolta che indirizza una carriera che si svolge in Italia e nel mondo. La tecnica appare rivoluzionaria, sposa qualità e economicità, e consente di realizzare progetti in un equilibrio tra la forma e la funzione, secondo un'ispirazione che viene dalla cultura del razionalismo architettonico italiano.
In particolare, progetta ponti come il Vespucci di Firenze (1955/57) e il General Rafael Urdaneta nella Baia di Maracaibo in Venezuela (8.7 km, 1957/62). Il ponte-cavalcavia sul Polcevera, a Genova sull'A 10, vede la luce fra 1963/67 e presenta una struttura a cavalletti bilanciati e stralli in cemento armato.
Già poco tempo dopo la costruzione si manifestarono problemi, dovuti principalmente al degrado del calcestruzzo, un aspetto su cui al tempo della progettazione non si era riflettuto a sufficienza. Morandi stesso ebbe modo di verificare i negativi effetti atmosferici sulle strutture. Nel tempo, lo stato del ponte ha costretto a interventi di manutenzione, fino all'ipotesi di demolirlo per rifarlo. Non a sufficienza per impedire, a cinquant'anni dall'apertura, che crollasse il 14 agosto scorso. Per la stessa ragione, fa riflettere, è stato invece chiuso nel 2017 il ponte strallato sul Wadi al-Kuf in Libia (progetto di Morandi del 1962, realizzato tra 1965/71).
Sono tante le questioni che il disastro e le quarantadue vittime sollevano. Le virtù di una tecnologia e l'usura a cui il tempo la sottopone, le grandi opere che rappresentano un vanto della creatività italiana e la scarsa attitudine del Paese alla continuità dell'attenzione e della manutenzione, un rapporto tra pubblico e privato che non ha trovato ancora un equilibrio tra sicurezza, efficienza e responsabilità.