di Guido Barlozzetti
L’uscita di Stan & Ollie, il film dedicato alla storia della coppia Stan Laurel & Oliver Hardy, offre l’occasione per ricordare due protagonisti del cinema comico, fra quelli che più hanno colpito il pubblico di tutto il mondo, al punto da uscire dal loro tempo e diventare figure di un immaginario assoluto e universale.
Impossibile pensarli divisi, impossibile immaginarli fuori dalla dimensione della coppia, condizione ideale per creare il loro irresistibile gioco di equivoci e disastri. Quella coppia che per la prima volta si manifestò in un cortometraggio del 1921 – era l’epoca del cinema muto – The lucky dog/Il cane fortunato, in cui già si colgono le loro differenze, fatte apposta per stare insieme. Un anno dopo l’altro, i caratteri si perfezionano e si integrano, grazie anche ad Hal Roach, un produttore che tanta parte ha avuto nell’invenzione del cinema comico negli anni del muto, personalità controversa, ma con l’intuito geniale che gli fa capire quanto i due insieme costituiscano una miscela esplosiva e originale, tale da poter alimentare un flusso ininterrotto di corti e poi di lungometraggi.
Il debutto ufficiale avviene nel ’27 con Putting pants on Philip e da lì in poi è un trionfo che toccherà il culmine nel decennio successivo e arriverà alla fine degli anni Quaranta con l’ultimo, travagliato film, girato in Europa, Atollo K. In tutto, Stanlio e Ollio, i nomi con cui li conosciamo in Italia, hanno girato 107 film fra brevi, corti e lungometraggi. Poi, ci ha pensato la televisione a riproporne le gesta da una generazione all’altra.
Sono differenti in tutto e questo gli permette di costruire un incastro perfetto. Stan è esile, la giacca gli cade addosso, le orecchie a sventola, i capelli arruffati che continua a toccare soprattutto quando non riesce a capacitarsi di una situazione o medita sul da farsi. Timido ma vendicativo, pronto a scatenarsi e a farsi rispettare. Ollio, invece, è grasso, una giacchetta che lo rende ancora più corpulento, i capelli spalmati sulla fronte dalla brillantina, i baffetti, presuntuoso, saccente, pretende di sapere sempre quello che si deve fare e di dare ordini al renitente Stanlio, salvo fallire sempre.
Entrambi con la bombetta, si armonizzano perfettamente, i vuoti dell’uno sono i pieni dell’altro, in una reversibilità di concavo e convesso, le loro azioni sono scandite da una partitura a orologeria che fa scattare sempre le gag con un andamento quasi a rallentatore per cui il tempo dell’azione si compie tutto, fino in fondo, in attesa della reazione che si protrae con la stessa lentezza, ogni volta alimentando il sistema di attese del pubblico e un effetto comico infallibile. Un crescendo e, al tempo stesso, uno slow che reinventano il chiasso e il fracasso della slapstick comedy. Come un teorema di matematica o un sillogismo.
In questa spirale Laurel & Hardy possono raggiungere livelli di astrazione straordinari come quando smontano un pezzo dopo l’altro una macchina o replicano un tentativo che invariabilmente non riuscirà, facendo in modo che ad ogni replica il danno aumenti fino alla catastrofe finale come in Music Box, un corto del 1932. Implacabili nel costruire ed essere complici del loro destino, come Sisifo e la condanna che lo segna. Questo esercizio non tollera sconti, può e deve diventare crudele e spietato, con tutto il candore di cui entrambi sono capaci.
E poi s’impongono con i loro segni particolari, lo sguardo in macchina quando si stupiscono, il gioco con la cravatta di Ollio, la mano di Stan che si gratta la testa… Distruttori dell’ordine, dinamitardi delle convenienze e delle buone maniere, da Muraglie a Fra’ Diavolo, da I figli del deserto a Gli allegri eroi, I fanciulli del West, Avventura a Vallechiara, I diavoli volanti, Noi siamo le colonne... Spesso con mogli cattive e insopportabili che li maltrattano e a cui cercano di sfuggire alla ricerca di distrazioni migliori. E con complici caratteristi, come il poliziotto o l’affittacamere frustrato, che hanno i baffoni e l’occhio strizzato di James Finlayson.
Inevitabile che ci si domandasse quali fossero i rapporti fra i due. Se ci fosse un dietro le quinte fatto di contrasti o perfino di inimicizia. Stan & Ollie questo racconta, la loro relazione di coppia fino al momento in cui si rompe l’intesa con Roach – nel 1939 – soprattutto per i contrasti fra il produttore e Stan che voleva libertà nella costruzione delle gag e delle sceneggiature e nel montaggio. Stan se ne va e Oliver gira, da solo, ancora un film per Roach, in coppia con un revenant del muto, Harry Langdon, Zenobia – Ollio sposo mattacchione.
Sarà un motivo di attrito che segnerà gli ultimi anni della coppia, ma che non impedirà all’uno di restare fedele all’altro. Ci si può anche odiare nella vita, ma il bello del cinema e della finzione è che li ci si può amare, senza limiti. Diretto da John S. Baird, Steve Coogan è Stan mentre John C. Reilly veste i panni di Ollie. Coppia sullo schermo, nella realtà Oliver si sposò tre volte, Stan ebbe quattro mogli distribuite in ben otto matrimoni.