di Guido Barlozzetti
Sono passati trent'anni dalla morte del Presidente più amato dagli Italiani, il 24 febbraio del 1990, e la ricorrenza è un'occasione per ricordarne la figura e una pratica della politica che rompeva schemi e conformismi.
Sandro Pertini, Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985, ha lasciato un memoria di sé che resiste al tempo, segnata dalla forza ruvida e decisa della sua personalità e da un modo aperto e schietto di intendere la responsabilità istituzionale.
Alcune immagini sono entrate a far parte della storia del Paese. Quando esulta nello stadio di Madrid per i gol della Nazionale nella Finale dei Campionati del mondo del 1982, o quando arriva sul bordo del maledetto pozzo di Vermicino in cui è precipitato il piccolo Alfredo Rampi, e resta lì a testimonianza dell'abbraccio degli Italiani e di un intervento che vorrebbe essere salvifico e risolutore, al di là del caos e della disorganizzazione dei soccorsi.
Pertini, il "Compagno Sandro", come voleva che i giovani lo chiamassero, ruppe le regole del protocollo, infranse il cerimoniale che avvolgeva la Presidenza della Repubblica e faceva del Quirinale un palazzo remoto rispetto alle attese e alla sensibilità della gente.
Fu il primo Presidente popolare e fece di tutto per esserlo. Intuì in quegli anni, a cavallo tra Settanta e Ottanta, che la politica doveva uscire dalle stanze e dalle conventicole, aprire il portone e stabilire una sintonia con un Paese profondo che usciva dal terrorismo e cercava nuovi equilibri nelle rappresentanze e nel governo. Lo fece mettendosi in primo piano, con l'immediatezza, la spontaneità ruvida degli interventi, spiazzando le stesse istituzioni e la loro inerzia, come quando denunciò la lentezza dei soccorsi nell'Irpinia devastata dal terremoto, o polemizzò aspramente con il Presidente dell'Argentina, il generale Reynaldo Bignone, che sbrigava via la questione dei desaparecidos. Oggi vediamo la politica ricercare un contatto diretto con il popolo e leader che vorrebbero bypassare ogni mediazione alla ricerca di un'investitura dal basso, Pertini allora forzò la rigidità di un'istituzione, certamente mai mettendola in discussione, in una sorta di auto-marketing, più istintivo che meditato, e forte di una storia personale che lo metteva al di sopra del piccolo cabotaggio degli accordini e dei teatrini dei partiti.
D'altronde, la sua storia testimoniava per lui e diceva di un uomo che aveva combattuto nella Prima Guerra Mondiale, guadagnandosi una medaglia d'argento, peraltro rifiutata nella mai rinnegata convinzione neutralista. Di un socialista entrato nel partito di Filippo Turati e restato fedele a quell'ispirazione politica per tutta la vita nel nome, come lui stesso ebbe a ripetere, della libertà e della giustizia sociale. Di un antifascista determinato e coerente che il Fascismo aveva arrestato e poi mandato al confino a Santo Stefano, a Turi dove aveva conosciuto Antonio Gramsci, poi al sanatorio giudiziario di Pianosa, quindi a Ponza e ancora a Ventotene. Insomma, Pertini apparteneva alla generazione antifascista e poi resistenziale di Spinelli, Parri, Valiani, dei fratelli Rosselli, di Basso, Amendola, Terracini...
Caduto il Fascismo, dopo il 25 luglio, riacquistò la libertà. A Roma fu protagonista della lotta contro i tedeschi, partecipò alla difesa della città a Porta San Paolo. Fu arrestato per poi evadere con una fuga rocambolesca dal carcere di Regina Coeli e continuò nell'azione partigiana, peraltro non essendo coinvolto in prima persona nell'attentato di Via Rasella da parte dei Gap comunisti, a cui i tedeschi risposero con la rappresaglia delle Fosse Ardeatine.
Anni difficili in cui Pertini fu sempre fedele a uno spirito unitario tra socialisti e comunisti, messo alla prova da contrasti e discussioni che furono anche aspri - come nel caso della Svolta di Salerno operata da Togliatti - e in cui fu uno dei membri del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), in particolare nei giorni della Liberazione, dell'insurrezione di Milano e dell'uccisione di Benito Mussolini.
Nel dopoguerra, fece parte dell'Assemblea Costituente e sostenne una linea in cui la collaborazione con il PCI doveva conciliarsi con l'autonomia del PSI. Così si spiega sia la contrarietà al Fronte Democratico Popolare con i comunisti nel 1948, sia la posizione critica all'inizio del Sessanta nei confronti del governo di centro-sinistra che escludeva il PCI dal governo.
Rigoroso, intransigente, fautore dell'epurazione verso i fascisti - di contro a chi sosteneva la normalizzazione - come del no a qualunque trattativa con le BR che avevano rapito Aldo Moro, Pertini per due volte fu eletto alla presidenza della Camera e l'8 luglio del 1978 al Quirinale.
Fu un'elezione tortuosa, chiusa al sedicesimo scrutinio, con Craxi che lo propose a soluzione di uno stallo che stava diventano interminabile, pur conoscendo quanto il candidato fosse contrario alla linea rigidamente autonomista del suo PSI rispetto ai comunisti.
Pertini era la figura giusta per superare i veti reciproci e il Quirinale fu la vetrina per far conoscere agli Italiani la sua personalità.
Abbiamo detto di come seppe interpretare il sentire collettivo del Paese nelle occasioni drammatiche della cronaca, come in quelle dell'esaltazione sportiva. Così si spiega anche la decisione di non risiedere al Quirinale con la moglie, Carla Voltolina, che a sua volta volle restare nell'ombra e non lo accompagnò mai nelle cerimonie ufficiali.
La storia volle che fosse il primo Presidente a conferire l'incarico per la formazione del governo a esponenti che non venivano dalla Democrazia Cristiana, al segretario del Partito Repubblicano Giovanni Spadolini e poi, nel 1983, a Bettino Craxi. Ma al di là delle circostanze, a fare la differenza fu lo stile che impresse allo svolgimento dell'incarico, Pertini fu infatti il primo Presidente che si dette a esternare sui problemi e le questioni aperte nell'agenda politica, forte di una personalità e di un rapporto di fiducia con il Paese che la politica non poteva permettersi di sottovalutare.
Ed è così che ancora lo ricordiamo. Con la voce stentorea, la pipa in mano, le lenti scure, e la sensazione che da un momento all'altro la sua ira venga ad abbattersi sui nemici del popolo.