VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Primo piano dell'attore Marco Giallini nei panni del vicequestore Rocco Schiavone.

La seconda volta di Rocco Schiavone

Torna Rocco Schiavone. Seconda serie su Rai2 per il tormentato vicequestore uscito dalla penna di Antonio Manzini.

Non è detto che la televisione debba esser sempre "politicamente corretta", o meglio ci può essere una televisione che esca dai confini delle convenzioni e delle buone maniere e vada ad esplorare gli angoli oscuri, invisibili alla luce del Sole. Schiavone è una sorta di Caronte che ci porta nei meandri della sua anima di eroe caduto ma non abbattuto, segnato - come accade a tanti che lo hanno preceduto al cinema, in televisioni, nella letteratura gialla e noir - da un passato che ritorna, scomodo e doloroso come può essere la morte della moglie Marina, uccisa in un tentativo fallito di assassinare lui.

Schiavone è corroso da quello che gli è accaduto, ha somatizzato le intemperie terribili della vita e, in questa serie, deve fare i conti fino in fondo con una ferita che resta aperta e in cui si nasconde qualcuno che ha deciso di eliminarlo. Sta in mezzo, fra i superiori che non si fidano di lui e lo inquisiscono, e un torbido giro di malavita.

Dunque, una sorta di discesa all'inferno che Schiavone affronta con il sistema di difesa che conosciamo: un cinismo portato all'estremo, un carattere burbero e irascibile, sempre al limite della sopportazione, un comportamento spigoloso che non apre mai una fessura nei confronti degli altri - salvo la banda dei tre amici, dal passato tutt'altro che irreprensibile con cui si vede a cena e che lo aiutano nei momenti più delicati e rischiosi - un'ironia sulfurea che non risparmia niente e nessuno e dunque neanche lui.

Lo hanno esiliato da Roma a Aosta per tutte le intemperanze e le sregolatezze che ha compiuto e lui non ha dismesso, anzi, una romanità portata all'estremo che non ha santi da venerare, non ha pazienza, non perdona, rantola battute come una staffilata, ma al momento giusto dà una pacca sulla spalla a chi è in difficoltà e resta fedele a una sua regola d'onore che segna un confine invalicabile tra lui e gli infami che popolano il mondo e, anche con la sua complicità, gli hanno distrutto la vita.

Non è un angelo caduto in terra, uno come Schiavone non è mai stato un angelo, ma dentro di lui una scintilla continua ad ardere e lo spinge a non mollare e a cercare di rimettere a posto i cocci della sua esistenza. Per quanto possibile, perché qualcosa è stato perso e non tornerà.

Assomiglia alle sigarette che accende una dopo l'altra. Aspira, aspira quel soffio mortifero e al tempo stesso vitale, e intanto la sigaretta si consuma, irreversibilmente. Ha avuto un grande successo la prima serie, il pubblico ha accolto Rocco Schiavone e ne ha accettato la proposta irriverente, scomposta, fuori dai canoni, sporca e maleducata.

Siamo agli antipodi, a prima vista, di colleghi come Don Matteo o il commissario Montalbano, nulla a che vedere con un prete buono e generoso, e con un siciliano che certe macchie sulla fedina penale non ce le ha e non è in lite con il mondo. Poi, però, guardi meglio e ti accorgi che, in modi diversi, sia l'uno che l'altro sono dei ribelli e che, se rispettano la legge, hanno qualcosa che li porta fuori dalla comunità: sono santi protettori, inevitabilmente soli, certo, ciascuno con un suo codice che per Don Matteo porta direttamente a Dio e per Montalbano ha a che fare con l'onore personale e un individualismo disincantato e insofferente della prosopopea del potere. Rocco, per quanto distante, appartiene alla stessa specie e, al momento giusto, si mette una mano sulla (buona) coscienza.

 

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