di Guido Barlozzetti
Uno strano mese di maggio. Almeno questa è l’impressione, adesso che siamo entrati in giugno e il caldo sembra essere arrivato, secondo tradizione. Una primavera che è sembrata volgere all’inverno con un andamento fuori stagione, se partiamo dal presupposto che ognuna delle quattro fasi in cui viene diviso l’anno è nella nostra percezione una scatola in cui ci devono stare quelle cose e nessun’altra.
Se si guarda ai dati, il maggio 2019 ha registrato una temperatura media di 15.1 gradi, dunque il maggio più freddo addirittura dal 1991, inferiore di 1.5 gradi alla media che si è avuta nel trentennio 1961/90, tanto per costruire un paragone rispetto agli andamenti climatici di medio-lungo periodo.
Ha piovuto tanto, dopo lunga astinenza, il maggio più piovoso degli ultimi tredici anni, con una media di 123.3 mm. e un aumento del 203% rispetto allo standard. Non siamo meteorologi e dunque non ci arrischieremo in interpretazioni e tanto meno in oracoli sulle tendenze nel futuro prossimo venturo, secondo alcuni un fosco scenario in cui l’effetto serra va a determinare e aggravare il global warming, con la conseguenza di far innalzare le temperature, e con effetti imponenti sul livello delle acque degli oceani e, epocale e biblico, uno sconvolgimento della distribuzione delle popolazioni sul pianeta.
Soltanto alcune osservazioni. Intanto, la centralità che, comunque la si pensi, ha assunto la questione del clima sui media e nell’attenzione collettiva. Il tempo è diventato un argomento di ordinaria conversazione, come il calcio o la politica. E’ un’abitudine diffusa ormai consultare ogni giorno siti o ascoltare le previsioni, non si fa neanche colazione senza interrogarsi sulle condizioni del tempo della giornata. E capita sempre più spesso che le notizie relative salgano in testa alla gerarchia dei titoli di un telegiornale o nella prima pagina dei giornali, caricate di emotività e dunque tali da generare impressione, apprensione e allarmi nel pubblico.
Quali sono le ragioni di questa sensibilità e degli eccessi che spesso si registrano? Intanto, è indubbio che pesi la percezione generale di un’alterazione nei ritmi stagionali, come se l’inverno, l’estate, l’autunno e la primavera fossero state prese in un vortice che ha rimescolato le carte e le identità, con modificazioni rilevanti rispetto al sistema delle attese. Siamo su un piano assai delicato dove il confine tra la realtà delle cose e ciò che ne viene percepito è assai sfuggente, e non capita solo nell’ambito del tempo.
Questa percezione è stata anche alimentata da una linea di tendenza intrinseca al sistema dell’informazione – anche qui non è il caso di generalizzare – portato a enfatizzare le notizie, a gonfiare un fenomeno circoscritto e limitato a evento globale o a irreversibile punto di non ritorno, con il punto esclamativo di un titolo in attesa del prossimo… Ricordate le fiammate annunciate degli anticicloni estivi o delle gelate in discesa dal Circolo Polare artico, o il deserto ineluttabile, con le immagini dei fiumi in secca e dei pesci boccheggianti...!?
Enfasi, emozione e ansia. Non basta vedere le immagini, bisogna sempre ricordarsi che si trovano in un contesto nel tempo e nello spazio, che il montaggio può dimostrare tutto e il contrario di tutto, che un titolo può oscillare tra la referenzialità e la passionalità. E che dietro alle notizie si gioca una partita strutturalmente ambigua tra una presunta verità – e comunque la ricerca di un’obiettività – e gli interessi in gioco. Formidabili, perché riguardano un’idea stessa del vivere, un modo di produzione che abbiamo identificato con la modernità e alcune idee che si è portata dietro, il progresso senza fine, la crescita comunque, la virtù sempre positiva delle tecnologie... Oggi questi pilastri mostrano crepe, che inducono alcuni a parlare di catastrofe imminente, altri a una riflessione sulla necessità di riorganizzare i paradigmi tradizionali alla luce di uno sviluppo sostenibile e condiviso.
Quanto alla climatologia, nessuna scienza è in sé esatta, costruisce ipotesi sul futuro a partire dalle seriazioni statistiche del passato, la cui attendibilità è commisurata all’omogeneità dei metodi e alla dimensione del periodo a cui fanno riferimento. Si dirà che nel caso del clima le trasformazioni mettono in gioco periodi lunghissimi, secoli, addirittura millenni, anche se non sono pochi quelli che ricordano come l’attualità sia presa in una curva accelerata che non ha riscontro nel passato e che potrebbe innescare un vorticoso e accelerato conto alla rovescia.
Dunque, grande è la responsabilità di chi diffonde notizie e l’autorevolezza delle fonti. Abbiamo strumenti per conoscere, per raccogliere e confrontare masse immense di dati che possano aiutarci a capire cosa stia succedendo. Abbiamo anche la consapevolezza di quanto il potere dell’uomo possa incidere sull’ambiente, sulla gestione di risorse che non sono infinite e su una distribuzione che resta largamente ineguale. Siamo usufruttuari di un pianeta che non è nostro e dobbiamo consegnare a chi verrà dopo di noi.
Questo mese di maggio, adesso che è arrivato il Sole e l’anticiclone delle Azzorre, ci sembra già messo in archivio e gli stessi previsori del meteo ci rammentano che l’estate dal punto di vista astronomico nasce in coincidenza con il solstizio del 21 giugno, mentre l’inizio convenzionalmente climatico viene posto al primo giugno. Una sfasatura significativa e un altro capitolo nella partita fra le nostre capacità di conoscere e la complessità immensa della natura che ci circonda. Aspettiamo le previsioni per il tempo di domani e restiamo ansiosamente in attesa di capire quale sarà, anche con la nostra partecipazione, il clima del mondo a venire.