di Guido Barlozzetti
Un colpo di scena, anche se i rumors prima della cerimonia annunciavano che Parasite di Bong Joon-Ho avrebbe trionfato all’Oscar.
E’ andata proprio così, ha trionfato veramente. Il film dell’autore sud-coreano ha segnato questa edizione - la numero 92 dal 1929 - del premio, con quattro statuette: miglior film, miglior film internazionale, miglior sceneggiatura e miglior regia.
Non era mai successo che un film non in lingua inglese s’imponesse nella vetrina più prestigiosa del cinema americano. Impresa oltretutto molto complicata se solo si considera la concorrenza che aveva di fronte: The Irishman di Martin Scorsese, che resta a mani vuote; 1917 di Sam Mendes, dieci nomination che si riducono solo a tre riconoscimenti per fotografia, effetti speciali e sonoro; C’era una volta in America di Quentin Tarantino che deve accontentarsi del premio per il miglior attore non protagonista, Brad Pitt, e per il production design, e Joker di Todd Phillips che, almeno, prende l’Oscar per l’attore protagonista, Joaquin Phoenix, oltre alla musiche di Hildur Guðnadóttir. Anche Le Mans '66 - La grande sfida di James Mangold (Miglior montaggio e miglior montaggio sonoro), Piccole donne di Greta Gerwig (migliori costumi), Bombshell - La voce dello scandalo di Jay Roach (miglior trucco), Rocketman di Dexter Fletcher (miglior canzone) e Jojo Rabbit di Taka Waititi (miglior sceneggiatura non originale) sono riusciti a portarsi a casa delle statuette, cosi come Toy Story 4 di Josh Cooley per il miglior film d’animazione.
Vince un film, Parasite, che spariglia rispetto ai generi. Comincia in un modo e finisce in un altro, mescola, scarta, inventa, continua ad aggrovigliare e a sciogliere come mai ti aspetteresti. E intanto mette in scena un conflitto sociale tra ricchi e poveri in cui non si salva nessuno ed il cinema l’arma che colpisce. L’Academy ne riconosce la qualità innovativa e la profondità di un racconto sorprendente. E non arriva per prima perché il film aveva già vinto il Golden Globe, il Bafta e la Palma d’oro a Cannes. Un filotto impressionante per un congegno narrativo spiazzante che salta dalla commedia all’horror, al soprannaturale e che adesso torna nelle sale per avere dal pubblico il riconoscimento che non aveva avuto alla prima uscita. L’Oscar è un’occasione per conoscere il talento visionario di Bong Joon-Ho e per vedere i suoi film, come il film del 2003 Memories of Murder, in uscita nelle sale.
Gli Oscar per l’interpretazione premiano le performance trasformistiche di Joaquin Phoenix, Joker dissociato nel labirinto della sua follia, e di Renée Zellweger in Judy, che si cala nella vita dissipata di Judy Garland fra alcol, tranquillanti e matrimoni. Phoenix batte Banderas/Dolor y Gloria, Di Caprio/C’era una volta Hollywood, Adam Driver /Marriage Story e Jonathan Pryce/I due Papi, mentre Zellweger prevale su Cynthia Erivo/Harriet, Scarlett Johansson/Marriage Story, Saoirse Ronan /Piccole donne e Charlize Theron/Bombshell.
Interpretazioni importanti, che confermano una tendenza attoriale a immedesimarsi nel personaggio, che si tratti di protagonisti estremi dell’immaginario o di personalità reali, come confermano I due Papi - Anthony Hopkins e Jonathan Pryce - di Fernando Meirelles, il Churchill di Brian Cox e, dalle nostre parti, il Craxi di Pierfrancesco Favino in Hammamet.
Per le interpretazione dei non protagonisti, già ricordato Brad Pitt, sul versante femminile vince una gloriosa Laura Dern per Marriage Story, una carriera ormai lunga, versatile e fuori schema.
Una piccola, indiretta, soddisfazione per l’Italia. Nella colonna sonora di Parasite figura In ginocchio da te di Gianni Morandi. Bong Joon-Ho ha confessato di avere inserito il brano perché in quel momento del film i protagonisti “erano in ginocchio!”, salvo scoprire che si trattava di una canzone d’amore. Ma ci stava comunque bene.
Una curiosità televisiva: la cerimonia è stata trasmessa dalla ABC e ha avuto 23.6 milioni di spettatori di contro ai 29 dello scorso anno e ai 40 di cinque anni fa.