VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Edoardo de Filippo con un espressione sorridente e sorniona, veste una giacca marrone con camicia bianca

Eduardo De Filippo, Napoli, il teatro e inevitabilmente la vita.

Eduardo, sì, certo, anche De Filippo, ma per tutti era e continua a essere Eduardo, nacque a Napoli il 24 aprile del 1900. Alla linea di confine di un secolo, il Novecento, e in una città che come poche altre al mondo porta nella modernità il suo ventre antico, ancestrale, misterioso, denso di umori inconciliati, aspri e voluttuosi di vita e di morte.

Figlio di Edoardo Scarpetta e di Luisa De Filippo, Eduardo ha respirato aria di teatro da sempre, il padre attore e autore, interprete di Felice Sciosciammocca, piccolo borghese ambizioso e spiantato, è cresciuto con Pulcinella e con le recite a soggetto, con le trasposizioni dei romanzi d'appendice e le pochades che venivano dalla Francia.

C'era un pubblico nuovo, la piccola borghesia, appunto, che voleva divertirsi e ridere, non si accontentava più delle vecchie maschere e voleva attori che recitassero una verità. E lui non fa altro che continuare su quella strada, tenendo insieme - le due cose non possono essere separate, scrittura e recitazione si rimandano, in una competizione complice - l'autorialità con un profilo straordinariamente innovativo di attore.

Una gavetta lunga, Eduardo lavora con il fratellastro Vincenzo Scarpetta e poi nella rivista di Michele Galdieri, con la sorella Titina e il fratello Peppino. All'inizio degli anni Trenta fonda il Teatro Umoristico I De Filippo. "Ho fatto l'attore - ha detto di sé - perché la mia famiglia era una famiglia di attori. La recitazione che vedevo sui palcoscenici di allora non mi piaceva, la trovavo esagerata, finta. Con la presunzione dei bambini ho pensato che avrei fatto molto meglio io, e che stavano sbagliando tutto. Per tutta la vita ho sempre voluto fare meglio degli altri, essere più vero, osservare più attentamente la realtà, raccontare meglio di tutti la vita".

Ecco la bussola che lo guida, ha toccato il teatro che c'era e ha capito che doveva seguirne il percorso e andare da un'altra parte, oltre gli attori pensosi e manieristi. Il primo passo della compagnia avviene con Natale in casa Cupiello (1931), in cui ritroviamo molti dei tratti che caratterizzeranno il teatro a venire. Un personaggio, il padre, isolato in un mondo suo, ossessionato dal presepe natalizio, una famiglia che ha il perno nella madre e nasconde un dramma, il gioco delle apparenze e della realtà che sfugge, una comicità che non è più farsesca ma ha il volto amaro della vita.

Quegli anni sono importanti anche perché Eduardo attraversa una stagione pirandelliana, con la messa in scena di alcune commedie, che gli permette di approfondire la doppiezza ambigua del rapporto tra autore e attore. Nel 1942 si conclude la Cantata dei Giorni Pari, come lui definì quella prima parte della sua esperienza, dove aveva cercato di "mostrare il mondo dell'intreccio, dell'intrigo e dell'interesse: l'adultero, il giocatore, il superstizioso, l'indolente, l'imbroglione. Tutte componenti di un riconoscibile e definibile modo di vivere napoletano appartenente al XIX secolo. In quelle commedie ho tenuto in vita la Napoli che era già morta in parte e in parte era coperta e nascosta dalla paternalistica premura del regime fascista e che se dovesse rinascere oggi sarebbe vista in maniera differente, sotto un aspetto differente".

Arrivano la guerra e poi gli anni difficili del dopo, anni tanto di incertezze quanto di cambiamento. Eduardo è ormai riconosciuto e vara una compagnia con Titina. E i Giorni dispari si aprono con Napoli milionaria (1945). Ancora una famiglia, un padre che sta dentro e fuori, i traffici intorno, le trappole, i tradimenti, le menzogne, il dolore e la consapevolezza finale che "ha dda passa' 'a nuttata".

E' il periodo della grande creatività, il cerchio della finzione in cui è rinchiuso il protagonista di Questi fantasmi (1946), il matrimonio fra ricatto e liberazione di Filumena Marturano (1946), l'inganno che può essere più terribile delle parole al punto da scegliere il silenzio in Le voci dentro (1948). E nella parola scritta e recitata s'intrecciano il dialetto e l'italiano, con un movimento che porterà sempre più dall'uno all'altro.

Il centenario della nascita del padre è l'occasione per una rivisitazione del repertorio della tradizione, da Miseria e nobiltà a Palummella zompa e vola, al fondo il confronto che solo lui poteva svolgere con una storia che gli diventava il rapporto mai confessato con le sue radici.

Così, il teatro di Eduardo accoglie sempre più lo smarrimento delle cose, il prosciugarsi delle illusioni, si rinchiude nella famiglia per constatarne le incomprensioni e la frantumazione fra le generazioni. Mentre arrivano gli anni del consumismo e un mondo tramonta, Eduardo assurge a voce universale, che fa di Napoli un controluce del mondo. Ne Il sindaco del Rione Sanità (1960) il protagonista è un già-camorrista illuso di redimere i guasti criminali della realtà che lo circonda, ma è preso anche lui nel viluppo della menzogna e dell'omertà che però qualcuno riuscirà a squarciare.

E ne Il figlio di Pulcinella, Eduardo immagina l'erede che torna a Napoli, strappa la maschera e scende in campo con il suo vero volto contro le vessazioni a cui è sottoposto il popolo. Fino a quella sorta di summa conclusiva de Gli esami non finiscono mai (1973) e il suo protagonista estremo e paradossale, Guglielmo Speranza, che oppone il silenzio al vuoto dell'ipocrisia e della disgregazione familiare che lo circonda. Eduardo, l'abbiamo detto, a quel punto sembra lontano da Napoli ma, vorrà pur dire qualcosa, ormai monumento di se stesso, l'ultima impresa lo vede intento a una traduzione de La tempesta di Shakespeare nella lingua napoletana del '600. Il cerchio si chiude.

Da oggi su Rai Easy Web sono disponibili le audiodescrizioni delle opere di Edoardo



 

 

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