di Guido Barlozzetti
La guerra è finita, ma chi è sopravvissuto è lì a ricordarci l’orrore che ha subito e il dolore che non ha ancora cicatrici. Con un titolo che chiude con i drammi del passato e guarda all’avvenire, la miniserie che arriva su Rai 1 parla dell’Olocausto, dei campi di concentramento che si sono incisi nella memoria dei superstiti, del bisogno di andare avanti, di chiudere con il passato, senza cancellarlo e rimuoverlo, ma non trasformandolo in un macigno che blocca il cammino.
In quattro serate, ciascuna una doppia puntata, arriva sulla prima rete La guerra è finita, con Michele Riondino e Isabella Ragonese, soggetto e sceneggiatura di Sandro Petraglia e regia di Michele Soavi.
Una storia articolata e forte di emozioni e sentimenti. Michele è Davide, partigiano, la moglie e il figlio deportati senza che se ne sappia più nulla. Li cerca, disperato e smarrito. Isabella Ragonese è Giulia, figlia di un industriale che ha collaborato con i nazisti ed è stato incarcerato.
Sono i giorni della Liberazione e i due s’incontrano, per caso, e si ritrovano sul fronte della solidarietà e dell’accoglienza. Si fanno carico infatti di un gruppo di giovani ebrei tornati dai lager, nessuna famiglia ad aspettarli. Con loro Valerio Binasco/Ben, già ufficiale della Brigata Ebraica che vuole aiutare tutti coloro che vorranno andare con lui in Palestina.
Insieme prendono possesso di una cascina abbandonata e la trasformano in un luogo di speranza, dove dare un tetto e una famiglia allargata ai bambini e ai ragazzi segnati dall’esperienza terribile dei campi. Devono costruire tutto dal nulla, gli ostacoli sono tanti, l’unica risorsa è la forza di volontà.
La guerra è finita racconta questa avventura, in una sorta di terra di nessuno, sospesa fra il passato, che ritorna con il ricordo di chi è scomparso e la memoria tremenda della violenza e delle prevaricazioni subite, e l’ostinazione di non fermarsi e di guardare avanti. Una minaccia viene dalla proprietà della cascina che vorrebbe sloggiare gli occupanti e riappropriarsene, un’altra, forse ancora più grande, sta nella difficoltà, per tutti, di rinascere dall’orrore.
Su questo tronco si diramano trame e sottotrame, come si addice a quella che nel codice della serialità si definisce “serie serializzata”, vale a dire un racconto lungo diviso in puntate e non una semplice sommatoria di episodi, con un insieme di fili narrativi che si intrecciano con il racconto principale.
Così, seguiamo Davide che ricerca i suoi cari; Giulia che ritorna nella famiglia e deve confrontarsi con la figura del padre; l’opera di recupero, la scuola, i giochi dei giovani ospiti segnati dai traumi della detenzione; e ancora i rapporti che nascono fra i ragazzi che si riaprono finalmente ai sentimenti e all’amore.
Due personaggi vanno ancora ricordati. Mattia (Valerio Binasco), diciotto anni, orfano, fuggiasco dalla Repubblica di Salò e dai partigiani, che si è nascosto nella cascina e non ha rivelato la sua identità. E Giovanni (Augusto Grillone), un bambino a cui le sofferenze subite hanno tolto la parola.
La storia fluisce grazie a questa larga combinatoria di personaggi e dunque di relazioni, in un alternarsi di temperature emotive: il coraggio e la rassegnazione, la paura e la speranza, il bisogno d’amore e la necessità di chiudere le ferite e camminare nel futuro.
Ogni passo in avanti è accompagnato dal rischio di tornare indietro, in quel limbo sospeso dei mesi che seguono la fine della guerra, quando tutto è da ricostruire, non ci sono punti di riferimento e fare i conti con il passato si sposta spesso nella vendetta.
E’ una strada faticosa e dolorosa, in cui i due protagonisti si impegnano, Davide con il dolore della perdita e con la tentazione di vendicarsi, in particolare quando scopre l’identità di Mattia; Giulia con il suo candore operoso e la lacerazione familiare che si porta dentro, l’uno fatalmente attratto dall’altra, in una sorta di simbolica e benaugurante congiunzione. Intorno a loro, i volti dei bambini e dei ragazzi che raccontano della disumanità che si portano dentro e da cui cercano di uscire.
Una bella prova di sceneggiatura e di capacità produttiva, La guerra è finita è una coproduzione di Rai Fiction con Palomar.
La regia esperta di Michele Soavi si destreggia fra le diverse anime della storia, il coming of age dei ragazzi, il period drama degli anni post-bellici, l’horror inciso nella memoria e il melodramma.