VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Franca Valeri al telefono sul divano nei panni della "sora Cecioni"

Addio a Franca Valeri

di Guido Barlozzetti

 

Aveva superato i cento anni da qualche giorno. Franca Valeri era nata a Milano il 31 luglio del 1920 e la milanesità ne era diventata uno dei tratti identitari in un mondo dello spettacolo così segnato dalla romanità, nel cinema come nella televisione.

Una milanese che tutto metteva in distanza, quando invece tutti si davano da fare per aderire, specchiarsi nella propria immagine, imporla con l’eccesso prorompente delle forme, come accadeva con le cosiddette maggiorate del cinema degli anni Cinquanta e lei invece minuta, sghemba, capace con una smorfia, una piega della bocca, uno sguardo con quegli occhi puntuti di far cadere qualunque retorica e prosopopea.

Lo ha fatto per tutta la sua lunghissima carriera tra teatro, cinema e televisione, un’infanzia e una giovinezza in cui lei, ebrea per parte di padre, aveva conosciuto gli effetti delle leggi razziali e della guerra. Si chiamava in realtà Alma Franca Maria Norsa e quel nome d’arte glielo aveva consigliato un’amica, Silvana Mauri, che stava leggendo un libro di poesie di Paul Valery.

Eravamo già nei Cinquanta e lei aveva già iniziato l’esperienza de I gobbi con Emilio Bonucci e Vittorio Caprioli - con cui avrà una lunga storia di vita oltre che di consuetudine teatrale - Franca praticava la prosa da Goldoni a Pirandello con registi come Sergio Tofano e Giorgio Strehler, e si era fatta conoscere alla radio con il personaggio della signorina snob (“Stasera no stellin, ho la Scala e neanche alle cinque perché ho il cocktail… ma come non lo sai, è tornato il Ciprianino dal Brasile! ) che si rifaceva a Cesira la manicure (“Si fa per dire… io sono manicure da uomo, sicché sono già una ragazza che viaggia piuttosto nell’articolo maschile…”) e, in versione romana, alla signora Cecioni sempre al telefono con mammà.

Personaggi che l’avrebbero seguita sempre, figure immediatamente riconoscibili e premiate dal successo che esprimevano in pieno e da subito la sua predilezione per il distacco sussiegoso e l’ironia corrosiva e insofferente, accompagnate però sempre da un disincanto, da una leggerezza sognante e sospirante, come ad alludere ai guai e ai desideri irrisolti. A suggello di quel primo passo arriva un libro, Il diario della signorina snob, con le tavole di Amelia Rosselli, compagna di Indro Montanelli.

Al cinema Franca Valeri arriva con Federico Fellini che la fa esordire in Luci del varietà, firmato con Alberto Lattuada, una coreografa ungherese che allestisce un balletto estemporaneo nel nuovo spettacolo di Checco Dalmonte (Peppino De Filippo) che lascia la fidanzata Melina/Giulietta Masina per Liliana/Carla Del Poggio.

Dopo di che, tante commedie e film comici, da Totò a colori a Mariti in città, Io, io, io e.. gli altri, con un sodalizio con Alberto Sordi con il quale gira sette film, la dirigente noir di Un eroe dei nostri tempi, la falsa contessa polacca, Lady Eva, che tiene una rubrica rosa in Piccola posta, la ragazza sognatrice e sulfurea de Il segno di Venere, fino a Il vedovo in cui è Elvira Almiraghi, imprenditrice di successo che maltratta un marito maldestro.

Negli anni Sessanta, mentre continuano a intrecciarsi i fili del cinema e del teatro, la svolta della televisione che le dà la notorietà più popolare con la partecipazione ai varietà di Antonello Falqui, da Studio Uno a Sabato sera, in cui ripropone i personaggi inconfondibili di una femminilità agguerrita e fragile, in ogni caso fuori schema, con quella voce che faceva il verso a se stessa, in soliloqui telefonici in cui la parola e l’espressione del volto si rimandavano in un gioco ininterrotto di ammiccamenti e sottintesi.

In quella televisione trova anche il modo di apparire in alcuni spettacoli teatrali, La cantatrice calva di Ionesco con la regia di José Quaglio, Felicita Colombo di Antonello Falqui, Le donne balorde, scritto e interpretato, Nel mondo di Alice di Guido Stagnaro, Le avventure della villeggiatura con la regia di Mario Missiroli.

E nel teatro continua a recitare con testi scritti e/o diretti anche da lei o da autori conclamati, Genet, Cocteau, Goldoni, Neil Simon, Yehoshua, un monologo tratto da Dürrenmatt che diventa la Vedova Socrate (con una battuta folgorante all’inizio, “Morto che meglio non poteva”), e registi come Lavia, De Lullo e il prediletto Patroni Griffi.

Ed è il caso di ricordare anche la più che ventennale opera di regia nella lirica, tra Settanta e Novanta, Lucia di Lammermoor, Bohème, Rigoletto, Ernani, Il barbiere di Siviglia.

Nel 2010 aveva pubblicato un libro “autobiografico” che già nel titolo diceva della sua disposizione ambiguamente anticonformista, Bugiarda no, reticente. Ci restano le sue donne, sottili e crudeli, possessive, inquiete, un tormento vendicativo nelle parole, tra una pausa e l’altra. Si dice che quando un allievo chiese a Arturo Benedetti Michelangeli come esercitarsi nello studio della pausa, il maestro gli abbia risposto di seguire con attenzione gli sketch di Franca Valeri.

 

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