di Guido Barlozzetti
L'Oscar fa 91 anni. L'esordio nel 1929, miglior film Aurora del grande regista espressionista tedesco Friedrich Wilhelm Murnau.
Quest'anno la statuetta tocca a Green Book, miglior film dell'anno, in un'edizione che ha premiato il cinema nero, con registi e protagonisti neri, e il messicano Roma di Alfonso Cuaròn.
L'Academy di Los Angeles ancora una volta ha mostrato il suo lato impegnato e più politically correct scegliendo storie che hanno al centro la discriminazione razziale e un Paese, il Messico appunto, con cui il Presidente Trump ha più di un contenzioso.
Nella cerimonia, ad alimentare il gossip un duetto - e gli sguardi - fra Lady Gaga e Bradley Cooper che insieme - e davanti alla moglie di lui, Irina Shayk - intonano con trasporto Swallow, premio per la migliore canzone, dalla colonna sonora del film che li ha visti insieme, A Star Is Born. Delle otto nomination, è la sola a cui tocca il Premio.
Green Book commuove con una coppia che più assortita non si può e che alla fine si rivelerà in sintonia profonda: un italo-americamo volgare e manesco (Viggo Mortensen) si ritrova autista-accompagnatore di un sofisticato ed elegante artista della musica jazz (Mahershala Alì, che vince il Premio come miglior attore non protagonista) con un colore della pelle che non è proprio il migliore per andare in giro nel Deep South degli Stati Uniti anni Sessanta. I due si riconoscono in una trasversalità che abbatte ogni barriera e pregiudizio. Il Green Book era il libretto/ vademecum stampato per trent'anni in America per indicare locali, motel e ristoranti che accettavano i neri ed evitare così incidenti sgradevoli.
Tre premi su cinque nomination, il film vince anche per la migliore sceneggiatura originale. Per quella non originale, prevale BlacKkKlansman di Spike Lee con la storia autobiografica di Ron Stallworth. Lee, nella cerimonia, mostra vistosamente il proprio dissenso per la vittoria di Green Book, per poi attaccare, al momento della Premiazione, il Presidente Trump che, peraltro, gli risponde via tweet rivendicando i suoi meriti nei confronti dei neri.
La migliore regia e la statuetta per il miglior film straniero sono andati a Roma di Alfonso Cuaròn, che ha pure preso il Premio per la fotografia. Tre riconoscimenti su dieci nominations. Anni Settanta, Roma è un quartiere di Città del Messico che diventa un microcosmo di umanità, attorno a una famiglia in cui la latitanza del marito/padre obbliga la moglie ad assumersi le responsabilità quotidiane, così come le inservienti insidie nei confronti della brutalità e dell'indifferenza maschile. Bianco e nero, macchina da presa avvolgente, le contraddizioni del Messico, la ricchezza e la povertà, la dignità della vita.
Miglior attore Rami Malek, origini egiziane, che in Bohemian Rapsody ha dato corpo e voce al fantasma di Freddy Mercury, frontman e artefice dei Queen, di cui il film di Brian Singer ripercorre la carriera dagli esordi, passando per il successo, le relazioni personali, l'omosessualità, le controversie del gruppo, la malattia inesorabile, fino all'apoteosi-reunion in occasione del Live Aid a Wembley. Quattro statuette su cinque nomine, oltre a Malek, montaggio, sonoro e montaggio sonoro.
Olivia Colman è la migliore attrice per la sua interpretazione ne La favorita di Jorgos Lanthimos, unico Oscar raccolto rispetto alle 10 nominations. La sua Regina Anna, gottosa e viziosa, si destreggia fra due cortigiane che si sfidano per accaparrarsene le grazie in un triangolo tutto al femminile nell'Inghilterra del primo Settecento. Elegante, crudele e sottile.
Migliore attrice non protagonista Regina King, con Se la strada potesse parlare di Barry Jenkins, da un romanzo di James Baldwin. Harlem, anni Settanta. La madre di Tish, moglie innamorata e ricambiata di Fonny, accusato ingiustamente di uno stupro da un poliziotto bianco.
Delusioni per Vice di Adam McKay con Christian Bale. Grande ricostruzione della figura di Dick Cheney, Presidente-ombra degli Stati Uniti al tempo di George W. Bush. Solo un Oscar per il miglior trucco/acconciatura.