VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Il Giorno della Memoria

di Guido Barlozzetti

"La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati."

Risale al 2000 la legge che istituisce nel nostro Paese Il Giorno della Memoria. Come dice il testo, il fine è quello di ricordare la Shoah, e cioè lo sterminio che si abbatté sugli Ebrei deportati nei campi concentramento nazisti - e anche italiani - e le leggi razziali promulgate dal Fascismo nel 1938. Perché non si dimentichi.

Non è un caso che la legge tenga insieme i due aspetti, anche per contrapporsi con il richiamo ai fatti a certi luoghi comuni che vorrebbero diminuire le responsabilità del Fascismo a fronte del totalitarismo nazista e della sistematica strategia che si tradusse nei lager.

Quelle leggi parlavano di “razza ariana italiana” e dunque stabilivano limitazioni e divieti per gli ebrei, vietavano alcune professioni, i matrimoni misti, l’iscrizione di ragazzi nelle scuole pubbliche, chiudevano le porte agli insegnanti, limitavano fortemente la proprietà di aziende, di terreni e di banche.

Sarà bene anche ricordare il perché della data. Il 27 gennaio rimanda a quello del 1945 quando le truppe sovietiche abbatterono le porte di Auschwitz, il cancello sormontato dalla scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, terribile ironia rispetto a ciò che accadeva oltre quel limite.

Sono molte le iniziative previste in tutto il territorio della Penisola, incontri, dibattiti, letture, deposizioni di corone sui monumenti e le tombe che ricordano le vittime, mostre, testimonianze… La programmazione della Rai ospita appuntamenti sulle reti generaliste e sui canali Rai Storia e Rai5.

Iniziative ancora più importanti se messe in relazioni a un contesto sul quale le cronache non cessano, anzi, di documentare atti e comportamenti che devono preoccupare e convincere a non abbassare il livello dell’attenzione.

Basti ricordare gli atteggiamenti inquietanti che hanno riguardato la senatrice a vita Liliana Segre di cui sarà bene ricordare il passato e cosa rappresenta. Aveva poco più di tredici anni quando, nel gennaio 1944, venne deportata da Milano ad Auschwitz. Separata dal padre, che venne subito ucciso, come anche i nonni che vi arrivarono qualche mese dopo, fu messa a lavorare per un anno in una fabbrica di munizioni e poi costretta in una delle “marce della morte” verso la Germania, sotto la pressione dell’avanzata dell’Armata Rossa, fino a quando proprio i sovietici liberarono il campo di Malchow nel quale si trovava.

Liliana fu uno dei venticinque ragazzi e bambini sopravvissuti dei quasi ottocento deportati dall’Italia.

Un dibattito per lo meno surreale, in verità sconcertante e riprovevole, si è svolto in alcune città sulla compatibilità o meno della cittadinanza onoraria e sull’effetto divisivo che il tributo avrebbe potuto comportare. Divisivo, come a dire che alcuni si sarebbero potuti non riconoscere in quella decisione o addirittura sentirsi discriminati. Come non notare il rovesciamento che questa posizione porta con sé, trasformando in una questione particolare - e quindi con l’alibi della strumentalizzazione che la parzialità comporterebbe - un riconoscimento che di per sé attiene all’universalità dei valori che dovrebbero contraddistinguere l’umanità, senza se e senza ma, senza il pregiudizio della razza che da sempre viene usato per giustificare soprusi, sopraffazioni, fino all’estremo del genocidio che si propone di cancellare l’esistenza di un popolo.

Ancora di pochi giorni fa è la scritta che a Mondovì una mano che si è protetta nella notte ha lasciato sul portone d’ingresso di Aldo Rolfi, figlio di Lidia sopravvissuta al campo di sterminio di Ravensbruck. “Juden Hier”, qui abitano gli ebrei, come lasciava scritto la viltà dei delatori quando i Tedeschi rastrellavano gli ebrei.

Guai a pensare a degli episodi. È la percezione di una questione radicale per la democrazia che si sta abbassando e lascia aperti spazi in cui non teme di manifestarsi chi prima non avrebbe osato.

La Giornata della Memoria nel tempo ha rischiato di cedere alla ritualità, ebbene che torni ad essere il tempo di un monito e di una presa di responsabilità. Che si ascoltino i racconti di chi ancora può testimoniare di quello che successe e, soprattutto, si allarghi la consapevolezza sulla memoria. Che non è il ricordo-ritornello di un passato lontano. E’ la testimonianza di cosa ha potuto produrre la società degli uomini e un avviso. Potrebbe ancora accadere.

Se qualcuno avesse dei dubbi, i libri di Primo Levi si trovano in tutte le librerie.

 

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