di Guido Barlozzetti
Ha vissuto un secolo, Gianrico Tedeschi, che era nato a Milano nel 1920. E’ morto nella residenza di Pettenasco sul Lago d’Orta e adesso si moltiplicano i ricordi di un attore versatile, raffinato e popolare, elegante e sempre con un filo spiazzante di ironia. Una presenza inconfondibile, un volto che s’imponeva e una voce tagliente e intrisa sempre di una sottile vena di umorismo, insomma un attore duttile, capace di salire sulla scena e di portarvi uno sguardo sghembo, laterale, dentro e fuori la rappresentazione, in un equilibrio che soltanto ai grandi è concesso.
Fu un campo di concentramento, dopo la partecipazione alla campagna di Grecia nella Seconda Guerra Mondiale, a segnare il discrimine di tutta una vita. Tedeschi rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò e venne internato in diversi lager. Si ritrovò con personalità che avrebbero svolto ruoli importanti, come Giovanni Guareschi, scrittore controcorrente e anticonformista, e il filosofo Enzo Paci, e scoprì una predilezione per la recitazione e il teatro che portò alla messa in scena di Enrico IV di Pirandello. “Sono diventato attore - raccontava - perché sono stato in un campo di concentramento”.
Di quel periodo custodisce una memoria Gianrico Tedeschi, due anni nei campi nazisti a cura della professoressa Maria Immacolata Maciori, edito dall’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia.
Emozioni ed esperienze che lasciano il segno e contrappuntano tutta una vita che lo stesso Tedeschi ha raccontato a Enrica, la figlia avuta dalla prima moglie Laura de Bernart, in Semplice, buttato via, moderno. Il “teatro per la vita di Gianrico Tedeschi” ( Viella editore, pp. 222, euro 27): “Papà, ma come hai fatto a resistere?” - “La fede. Lo sai che sono credente e cattolico. Pensa che mentre ero in Grecia ebbi una licenza e tornai a casa per qualche giorno. Ho cercato qualcosa che mi rasserenasse e che mi pulisse dentro. Sono andato in ritiro dai gesuiti a fare gli esercizi spirituali. È stato importante perché dopo, di fronte all’apocalisse della civiltà, ho provato dolore, impotenza, compassione. Mai disperazione”.
Finita la guerra, frequentò l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica a Roma, conobbe Giorgio Strehler che lo fece debuttare sul palcoscenico.
Tante interpretazioni, da protagonista e comprimario, accanto a Ruggero Ruggeri, Salvo Randone, Romolo Valli, Anna Magnani, Marcello Mastroianni. Tedeschi ha attraversato tante generazioni, fino a quella di Popolizio, Rubini e Marina Massironi. Con Strehler è stato Pantalone in Arlecchino servitore di due padroni e Peachum nell'Opera da tre soldi, poi La locandiera e Tre sorelle con Visconti, i lavori di Testori con Ruth Shammah, il Bernhard del Riformatore del mondo regia di Maccarinelli, e una prova che resta indimenticabile quando si cala nei panni del Cardinale Lambertini di Testoni.
Intanto, dimostra la sua versatilità nel campo del varietà e della commedia leggera, cantando e ballando accanto a Delia Scala in My fair lady o a Ornella Vanoni in Amori miei.
Le generazioni più anziani se lo ricordano per le sue apparizioni nella nascente televisione dei Sessanta. Trasversale ai generi più diversi, Tedeschi fu un uno dei protagonisti della stagione del romanzo sceneggiato che la domenica sera riuniva venti milioni di spettatori davanti al piccolo schermo. Qualche titolo: è il cordiale e loquace Marmeladov in Delitto e Castigo (1963), il cugino Paolino in Demetrio Pianelli (1963) e Sorin, il fratello di Irina Arkàdina ne Il gabbiano (1969). E così nella prosa, con I giocatori, Tredici a tavola e La professione della signora Warren.
Brillante anche nello spettacolo leggero, nel 1961 affianca Bice Valori e Lina Volonghi nel varietà di Antonello Falqui Eva ed io e nel 1977 partecipa a Bambole, non c'è una lira. E poi Carosello, dove il suo volto buffo e arguto promuove le caramelle Sperlari.
Nel 1972 partecipa anche alla trasmissione radiofonica Gran varietà, condotta da Raffaella Carrà, con prosopopea nonsense è il Conversevole della Domenica, un oratore che si esprime in un linguaggio ricercato per un pubblico che lo comprende solo a tratti.
Nel 2000 rinnova il suo successo teatrale interpretando la malinconica pièce Le ultime lune di Furio Bordon - in cui si era già cimentato Marcello Mastroianni, alla sua ultima apparizione teatrale - che porta in scena per dieci stagioni, seguito poi dall'impietoso Oldfiel in La compagnia degli uomini buoni di Bond con Ronconi, che gli vale l'ultimo premio come miglior attore dell'anno nel 2011, quando aveva 91 anni.
Aveva il tempo antico, distaccato e coinvolgente, dell’attore che sa interpretare il mistero della scena teatrale e vi si sente a suo agio, come se lì fosse lo spazio della vita e il luogo da dove guardarla.