di Guido Barlozzetti
La notte fra il 12 e il 13 novembre un’alta marea di 184 centimetri ha inondato Venezia. L’acqua è entrata ovunque, nella cripta dei Patriarchi nella Basilica di San Marco, nei negozi, nelle case, negli alberghi, nei campi e nelle calli, ha scaraventato battelli, vaporetti e motoscafi sulle fondamenta, e ha fatto una vittima in una casa di Pellestrina dove un uomo è morto per un cortocircuito. Le immagini della marea rovinosa hanno riempito i Telegiornali e fatto il giro del mondo e il mondo si è commosso davanti a una meraviglia delle storia e dell’arte, a un prodigio urbano e architettonico piegato dall’acqua, irrispettosa di tutto e di tutti, dell’arte come degli uomini, del loro lavoro e della loro quotidianità. L’acqua a cui Venezia deve paradossalmente la vita perché sulle isole della Laguna - e dunque con la sua protezione - si raccolsero i primi abitanti per difendersi da invasioni e razzìe.
Acqua dappertutto: acqua del mare e dunque con il sale che resta e compie la sua opera corrosiva. Una gigantesca ondata si è abbattuta sulla città, inferiore soltanto a quella altrettanto rovinosa – raggiunse i 194 centimetri – del 4 novembre del 1966, quando il moto unanime proclamò la necessità di salvaguardare l’unicum di Venezia. Più di cinquant’anni fa, più di mezzo secolo che non è bastato per correre ai ripari.
Alcune immagini si imprimono nella memoria: l’edicola alle Zattere che viene trascinata via; la facciata di San Marco che s’innalza sul mare che ha invaso la piazza e ha violato l’interno; i vaporetti sbalzati sulle rive; la libreria a cui non è bastato l’esorcismo del nome, Acqua Alta, per salvarsi; il patriarca Francesco Moraglia e il sindaco Luigi Brugnaro insieme nell’acqua sullo sfondo della Basilica.
Si contano i danni – «incalcolabili» dice il Sindaco – e cominciano le polemiche: un disastro annunciato, Venezia in balìa del mare perché non è stato fatto quello che si doveva fare per salvaguardarla. Comincia il rituale delle responsabilità e sul banco degli imputati sale chi avrebbe dovuto essere il salvatore della città, il MOSE, il Modulo di Sperimentazione Meccanica costituito da paratoie mobili a scomparsa poste nelle bocche di porto per innalzarsi quando il livello del mare sale al di sopra del livello di guardia. Avrebbe dovuto essere il salvatore perché il Mose, nonostante i decenni risucchiati – più che dai lavori – dalle pastoie burocratiche e dalla corruzione, resta incompiuto e – a detta del Presidente del Consiglio Conte volato subito a Venezia – ci vorranno ancora due anni per completarlo. La realtà è che quella notte nulla si è opposto al moto imponente dell’acqua.
E’ una storia tortuosa quella del MOSE, prima di raccontarla è il caso di spiegare perché Venezia sia così esposta all’alta marea e perché questi fenomeni devastanti si siano intensificati in questi ultimi anni.
L’acqua sale per diversi motivi. Anzitutto per il fenomeno astronomico della marea e per l’occorrenza meteorologica che con lo scirocco spinge le onde verso la laguna. A questa combinazione si aggiungono l’innalzamento del mare – si calcola che tra il 1872 e il 2016 il livello sia cresciuto di 35 centimetri, c’entra il cambiamento climatico? – e l’abbassamento del suolo, che tra il 1950/70 ha raggiunto i dodici centimetri, gli esperti dicono per lo svuotamento a opera dell’uomo della falda acquifera di Marghera, ma anche per i movimenti tettonici dell’area.
Fatto sta che, se nei 120 anni che hanno preceduto il 2000 sono state registrate 9 maree superiori a 140 cm, da allora ne sono intervenute 11. Insomma, i dati dicono di un’intensificazione dei fenomeni e prefigurano scenari che in tempi imprevedibilmente rapidi potrebbero diventare apocalittici.
Cosa si è fatto? Nel 1973, sette anni dopo il cataclisma del 1966, è stata approvata una Legge Speciale per Venezia volta alla salvaguardia sotto tutti gli aspetti – ambiente, paesaggio, arte, storia, economia e società – della città e della Laguna. Due anni dopo viene indetto un concorso per trovare un rimedio al problema dell’acqua alta. Nessuno vince, ma ne deriva un piano articolato, il Progettone, che prevede diversi interventi – case, argini fondali e bocche di porto – approvato dal Consiglio dei Lavori Pubblici nel 1982. E’ qui che, tra gli altri interventi, si individua nelle barriere mobili situate nelle bocche di porto la soluzione che dovrebbe preservare la Laguna e Venezia all’acqua alta.
A conferma arriva la Legge Speciale del 1984 che stanzia 600 miliardi per il primo triennio di lavori, ne fissa i criteri – sperimentalità, reversibilità e gradualità – e affida coordinamento e controllo a un “Comitatone” che riunisce Presidente del Consiglio e della Regione, i sindaci di Venezia e Chioggia e il Magistrato delle Acque, riconoscendo anche la possibilità di affidare i lavori a un consorzio di imprese senza gara.
Un anno dopo, il Comitatone dà in concessione i lavori al Consorzio Nuova Venezia, di cui fanno parte 27 imprese. Quattro anni e arriva il progetto del MOSE. Una stima operativa ne prevede il compimento nel 1995 e un costo di circa 1300 miliardi. Il progetto non ha precedenti, si basa su un sistema di paratie incernierate a cassoni di cemento posti sui fondali: in caso di emergenza vengono fatte emergere dal mare per impedire all’alta marea di penetrare nella Laguna.
Succede però che nel 1990 il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici bocci il MOSE per dare priorità ad altri interventi ritenuti più congrui per l’equilibrio complesso, tra mare e terra, della Laguna.
A quel punto il Comitatone decide comunque di andare avanti e s’innesca un percorso tortuoso tra valutazioni d’impatto ambientale, pareri positivi e negativi, ricorsi, la decisione di procedere a ulteriori stadi progettuali, fino a che il Cipe nel 2001 inserisce il Mose fra le infrastrutture strategiche e prevede che il completamento abbia un costo di 4.1 miliardi di euro.
Nel 2002 partono i lavori, conclusione prevista nel 2014. Non cessano, anzi, le polemiche: chi sostiene che il sistema sia troppo complesso per funzionare, tanto più in condizioni estreme, per non parlare della manutenzione; chi dice che bisogna prevenire l’alta marea e non solo agire sulle conseguenze, dunque con interventi diversi che garantiscano l’equilibrio della Laguna.
Nel 2014 a complicare le cose interviene una tempesta giudiziaria per tangenti e finanziamenti illeciti. Su sollecitazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione/ANAC, il Prefetto di Roma che ne ha competenza nomina tre amministratori straordinari.
I lavori, dopo un’interruzione, riprendono. Ma la situazione resta confusa: se – come si dice – il MOSE è compiuto per il 93%, ancora il 31 ottobre scorso è stata rinviata la prova di sollevamento della barriera di Malamocco.
Il resto è la cronaca drammatica di questi giorni. Il Presidente Conte ha detto che servono ancora 400 milioni e ha fissato il termine dei lavori al 2021. La ministra per le infrastrutture Paola De Micheli ha nominato Elisabetta Spitz nuovo commissario straordinario per il MOSE.
Offesa dall’acqua, Venezia si rialza e cerca di tornare a una qualche normalità.