La lingua si muove. Anche l'inglese che qualcuno teme venga ad inquinare la purezza della nostra, dimenticando che una lingua non si protegge come una riserva indiana. La forza risiede nella sua vitalità e in questa c'è la capacità di rinnovarsi, non negandosi a scambi, innovazioni e inclusioni.
Harper & Collins come da consuetudine ha selezionato le parole dell'anno. Nel 2016 era stata "Brexit" e l'anno scorso "Fake-news". Per il 2018 il titolo di The Word of the Year viene attribuito a "single-use", e cioè il monouso di qualcosa, fatto, appunto, per essere usato una sola volta. Parola che molto riguarda una società che non pone tra le sue prime preoccupazioni la durata degli oggetti e, in nome del mercato, consuma e getta via per subito ricomprare, che poi è speculare a chi produce cose in modo che usate una volta esauriscano il loro compito.
Il fatto che "single-use" capeggi la classifica e sia investita del titolo dell'anno sembra richiamare l'attenzione su un atteggiamento culturale che certamente non è il più favorevole all'ambiente, come dimostrano le montagne dei rifiuti e le immense isole di plastica che vagano per gli oceani. Segue "plogging", che riguarda un'abitudine scandinava tra ecologia e fitness, una pratica sportiva per cui si fa jogging e al contempo si raccolgono rifiuti. Anche qui sembra evidente il rimando a una sensibilità salutista e ambientale. Da noi ci sarebbero altri problemi da risolvere e altri comportamenti da assumere prima di farne una pratica sportiva.
Non poteva mancare Me-too, senza l'hashtag e assunto a sinonimo di un atteggiamento che stigmatizza la violenza del maschile sul femminile e il coraggio di denunciare da parte delle vittime. Sappiamo quanto forte sia montata la polemica e la protesta da parte di donne particolarmente impegnate ed esposte nel mondo dello spettacolo. Il movimento partito dall'America e dal contesto hollywoodiano ha segnato una discontinuità, nel nome del "politicamente corretto" e della dignità del femminile.
Ancora, un termine ripreso dal calcio. "Var" è un acronimo che sta per video assistant referee. Chi segue il calcio lo conosce benissimo, è il dispositivo chiamato in causa dall'arbitro quando ci sono dubbi sulla regolarità di una fase della partita e però non si ha la certezza per decidere in un senso o nell'altro. Arriva dal linguaggio della politica "gammon", parola ormai diffusa per indicare i bianchi di destra particolarmente virulenti nel sostenere la Brexit. Charles Dickens la usa in Nicholas Nickleby per indicare un personaggio duro, corpulento e fortemente patriottico. Dal cinema viene invece "gaslight", titolo di un film del 1944 in cui Charles Boyer faceva di tutto per convincere la moglie, Ingrid Bergman, di essere pazza, dunque un atteggiamento volto a manipolare gli altri e metterne in discussione la sanità mentale.
Non è un caso che Il Vocabolario Treccani abbia accolto proprio in questi giorni il lemma paralimpico come sinonimo di tutto lo sport delle persone con disabilità, non soltanto di chi si presenta sul palcoscenico olimpico. Un aggettivo che sintetizza "un modo di pensare" - sottolinea Pancalli - e lascia alle spalle un atteggiamento sommario e sprezzante nei confronti di quello che veniva sbrigato via come "lo sport degli handicappati".
Tutte parole inglesi. Liberi di adottarle o respingerle, rappresentano comunque una testimonianza del rapporto stretto tra lingua e evoluzione socio-culturale e dell'innovazione che comporta la novità di comportamenti e sensibilità.