di Guido Barlozzetti
Sono le 10.25 del 2 agosto 1980, quando la Stazione centrale di Bologna è scossa da una esplosione. Viene devastata l'ala Ovest, crollano le pensiline, della sala d'aspetto ridotta a un cumulo di macerie, perché lì qualcuno ha lasciato la valigia con la bomba.
Sono 85 i morti e oltre 200 i feriti.
Era il culmine dell'estate, l'inizio di un mese in cui nella stazione passava l'esodo di tanti che scendevano dal Nord al Sud, una giornata tranquilla e convulsa, gente che arrivava, partiva o aspettava in una sala l'ora del treno. E quelli che lavoravano nei servizi. Come le ragazze della Cigar, la società che si occupava di ristorazione, e poi John e Catherine che venivano da Birmingham, Iwao uno studente giapponese innamorato dell'Italia, Argeo, un ferroviere che era andato a trovare la madre e aspettava un treno per tornare a casa, Giuseppe che aveva accompagnato alcune ragazze straniere alla stazione, Fausto che chiacchierava accanto al suo taxi, Vincenzo che con un amico stava per partire per Palermo per andare in vacanza in Tunisia, Natalia che aveva accompagnato la figlia Manuela che andava in un colonia estiva…
Tante vite spezzate, ignare della minaccia terribile, un istante e la serenità che viene cancellata per sempre da una bomba che qualcuno mise con la piena consapevolezza di quello che sarebbe accaduto, perché voleva fare una strage e perché l'obiettivo erano i morti e un botto sconvolgente su cui ancora ci stiamo interrogando.
Chi passa oggi alla stazione vede su una parete una lacerazione che testimonia, a futura memoria, quell'attentato che rese sgomento un Paese che veniva dalla stagione cruenta e drammatica dei Settanta. Un tragitto di sangue, iniziato nel 1969 con la strage di Piazza Fontana a Milano, nella sede della Banca dell'Agricoltura, e proseguito con i morti di Piazza della Loggia a Brescia e dell'Italicus, in un clima di scontro fra quelli che vennero chiamati "gli opposti estremismi", segnato dalla cosiddetta "strategia della tensione". Formule spesso schematiche, prese - va ricordato - nel giro di ricostruzioni strumentali, di scenari ambiguamente manipolati e di lucide pratiche di depistaggio.
Sono passati quarant'anni, ci sono state le sentenze, quella del '95 ha condannato Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, militanti dei Nar/Nuclei armati rivoluzionari di estrema destra e, con loro, i responsabili di una sezione deviata del Sismi, il Servizio segreto per le informazioni e la sicurezza militare, che tanto s'impegnò a creare diversivi e a disorientare - da subito - le indagini.
Basti pensare alla prima ipotesi che individuò la causa dell'esplosione in una caldaia nei sotterranei della stazione e poi alle piste moltiplicate, sovrapposte e confuse.
Processi e sentenze, condanne, l'ultima di Gilberto Cavallini, già Nar, condannato all'ergastolo all'inizio di quest'anno. Ma non basta e tanto resta da scoprire sulle motivazioni che portarono all'attentato e su chi lo ideò e lo realizzò.
Un'operazione e un dovere che richiedono coraggio, determinazione e senso civico. Solo provare a trovare un filo, negli anni e anni di indagini, mette infatti a rischio di lasciarsi avvolgere proprio da quel gomitolo inestricabile costruito artatamente attorno alla strage: un episodio della strategia della tensione per propiziare una svolta a destra del Paese? Un altro tremendo segnale da collocare nella disputa Est/Ovest, con l'Italia in una posizione delicata e il Pci incombente da una parte e la Loggia P2 di Licio Gelli dall'altra? Una manovra per spostare l'attenzione rispetto al Dc8 di Ustica? Una ritorsione rispetto al rinvio a giudizio di Mario Tuti per l'attentato all'Italicus? O addirittura una medio-orientale?...
Colpisce la realtà dei morti che sono lì e continuano a rivolgerci una domanda che resta alla fine senza una vera risposta, di contro al cumulo delle macerie istituzionali, dello Stato nascosto dentro lo Stato, dei silenzi impenetrabili, dei ricatti inammissibili, di lotte senza quartiere e senza volto che non si fecero scrupolo - anzi - di seminare la morte e di usare tanti innocenti come carne da macello su un tavolo in cui il delirio ideologico si mescolava con la più lucida delle macchinazioni politiche.
L'Associazione tra i familiari delle vittime della strage continua la sua battaglia per la verità.