di Guido Barlozzetti
Il viaggio di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti è importante e fa notizia anzitutto per quello che è: un viaggio. Il primo che il Papa di Roma compie nella penisola d'Arabia, e cioè in una terra in cui l'Islam domina, le cupole s'innalzano verso il cielo e le croci cristiane non sempre sono accolte con la tolleranza che sarebbe necessaria.
E' sicuramente un passo in avanti se solo si considera una millenaria storia di divisioni aspre e contrasti sanguinosi, e una situazione attuale segnata dalla frontalità degli integralismi, come ci ricordano le bombe dell'Isis e i Foreign Fighters. E anche gli oracoli di storici e osservatori della geopolitica che da alcuni anni parlano di Scontro di Civiltà, come prospettiva ineluttabile.
Papa Francesco sfida questi scenari e apre al dialogo, all'incontro e alla mutua comprensione, trovando sponde significative. E' uno spirito che ha la sua radice più profonda nel Concilio Vaticano II, e che Francesco ha eletto a bussola, quello che gli fa attaccare la politica dei muri e delle fortezze, come le chiusure nei confronti dei flussi di umanità che arrivano dalla sofferenza, dal dolore e dalla fame. Ed è indicativo che in questo spirito si ritrovino anche le componenti più illuminate dell'islamismo, quelle che hanno lavorato per allargare lo spazio del dialogo anche quando, durante il pontificato di Benedetto XVI, l'interpretazione di un suo discorso a Regensburg aveva evocato scenari di conflittualità e scontro.
Molti hanno ricordato un precedente storico, l'incontro tra Francesco d'Assisi e il sultano Ayubbide al-Malik-al-Kamil, nipote di Saladino, gran Sultano di Egitto, Siria, Yemen e Hijaz. Era il 1219, nel corso della quinta Crociata, nel territorio di Damietta, Francesco lasciò le postazioni cristiane e fu ricevuto dal Sultano nel suo accampamento. Di quello che accadde, ci restano versioni diverse, da San Bonaventura a Tommaso da Celano, e se al-Malik non si lasciò convertire, è altrettanto certo che bastò solo il gesto di Francesco a testimoniare di una trasversalità rivoluzionaria. "Mi piace citare san Francesco, quando ai frati diede istruzioni su come recarsi presso i Saraceni e i non cristiani – ha detto il Papa durante l'omelia – Scrisse:'Che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio". E "questo vale anche per i preti" ha aggiunto. "Il cristiano parte armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto".
In un viaggio, sia pure breve, del Papa ci sono occasioni rituali fatte di discorsi e d'incontri. Ma anche queste, solo per il contesto in cui si svolgono, vengono ad assumere un significato particolare. Non ci vuol molto per capire che una cosa è affacciarsi per l'Angelus dalla finestra del Palazzo Apostolico, un altra è officiare una messa davanti a più di centomila fedeli nello stadio della capitale Abu Dhabi, dove la comunità cristiana è stimata a circa novecentomila anime.
Il Papa ha visitato la moschea dello sceicco Zayed, fondatore degli Emirati Arabi Uniti, dove è stato accolto dal Muslim Coucil of Elders, e con l'Imam si è recato al Funder's Memorial per quel confronto interreligioso con settecento delegati di confessioni diverse, musulmani, cristiani, ebrei... che del viaggio ha costituito la fondamentale motivazione.
Ma il valore intrinseco del pellegrinaggio pontificio acquista ancor più significato alla luce del Documento sulla Fratellanza Umana, firmato da Papa Francesco e da Ahmad al-Tayyeb, Grande Imam di Al Azhar, "l'amico e fratello" che con il Papa si è già incontrato più volte e che l'ha accompagnato per tutto il viaggio: "Oltre ai discorsi, ad Abu Dhabi è stato fatto un passo in più: io e il Grande Imam di Al-Azhar abbiamo firmato il Documento sulla Fratellanza Umana. Per la Pace Mondiale e la Fratellanza Comune - ha spiegato il Papa nell'udienza generale al ritorno dal viaggio - nel quale insieme affermiamo la comune vocazione di tutti gli uomini e le donne a essere fratelli in quanto figli e figlie di Dio, condanniamo ogni forma di violenza, specialmente quella rivestita di motivazioni religiose, e ci impegniamo a diffondere nel mondo i valori autentici e la pace".
Insomma, un punto di vista superiore che non fa di Dio una bandierina da piantare nel campo avversario, ma una matrice comune, che poi si è declinata storicamente in contesti e situazioni originali e diverse, e che dunque impone una comune sensibilità orientata al riconoscimento dell'altro nel nome di una comune identità.
Da qui - e il Documento lo evidenzia - discendono una serie di conseguenze sul piano delle contraddizioni aperte nella contemporaneità: dall'ingiustizia socio-economica all'urgenza di un'equa distribuzione delle risorse naturali. Un concetto viene ribadito. Quello della "piena cittadinanza" che in tutti riconosce e in cui tutti si riconoscono, superando il concetto-ghetto delle "minoranze" da isolare o, al massimo, da tollerare.
Si affronta anche la questione della condizione della donna e le viene riconosciuto il diritto di liberarsi da "pressioni storiche e sociali" e non soggiacere alle pratiche di sfruttamento sessuale.
Tre giorni intensi ad Abu Dhabi e un dialogo che continua, sulla frontiera di un rinnovamento in cui, nella visione di Papa Francesco, il dialogo interreligioso sembra essere solo l'altra faccia di una rifondazione spirituale ed ecumenica della Chiesa.