Semyon Bychkov: Schumann Sinfonia n. 2 op. 61
Teatro alla Scala di Milano
Orchestra FILARMONICA DELLA SCALA
SEMYON BYCHKOV direttore
ROBERT SCHUMANN
( 1 8 1 0 – 1 8 5 6 )
SINFONIA n.2 IN DO MAGG. OP. 6 1
Sostenuto assai, Allegro ma non troppo II. Scherzo: Allegro vivace
III. Adagio espressivo IV. Allegro molto vivace
Gian Mario Benzing
Dal libretto di sala dell’Orchestra Filarmonica della Scala
Forse il problema – o la chiave di tutto – è la lontananza. Ma da chi, o da che cosa? Se passiamo in rassegna un secolo e mezzo di recensioni, pareri e analisi attorno alla Seconda Sinfonia di Schumann, sentiamo delinearsi due filoni interpretativi. Da un lato, ammirazione per una creazione grande e sofferta (la preferita, sia di Brahms, sia di Clara); dall’altro, un caleidoscopio di rinvii ai modelli più disparati. I primi critici, per suggestione romantica, rilevano in quest’opera i tratti di un’autobiografia spirituale, quasi un “programma” o una confessione. Gli appigli non mancano. Schumann abbozza la Sinfonia quasi di getto, nel dicembre 1845, appena uscito, più o meno, da una delle sue non prime e purtroppo non ultime crisi nervose. Il diario domestico, lo Haushaltbuch, registra in progressione “pensieri sinfonici” (“symphonistische Gedanken”) il 12 e il 13 dicembre, “symphoniaca” il 14 e il 15, fino a un “Felicità musicale. Quasi finito l’ultimo movimento” il 26 dicembre.
Felicità, dopo la lunga depressione, che lo ha tenuto come separato, “lontano” da sé e dai suoi cari. Schumann soffriva di tremori, di improvviso gelo ai piedi, si sentiva angosciato e spossato, l’acrofobia si acuiva, col terrore di edifici alti, ponti e montagne, aveva attacchi di vertigine e allucinazioni auditive, i rumori si amplificavano in forma di suoni, canti o scrosci. Sappiamo come sarebbe andata a finire: il tuffo nel Reno gelato, gli anni in casa di cura, la morte solitaria e disperata. In una lettera del 2 aprile 1849 al direttore musicale di Amburgo, Georg Dietrich Otten, Schumann confida: “Ho scritto la Sinfonia in do maggiore nel dicembre 1845, mentre ero ancora mezzo malato, ho l’impressione che questo si avverta.
Veramente mi sono sentito di nuovo meglio dopo aver terminato tutta l’opera. Nel complesso, come ho detto, mi ricorda giorni cupi”. Ernst Gottschald, nel 1850, descrive la Grundidee (l’idea-base) dell’opera come “lotta che conduce alla vittoria”; in genere, come riassume Anthony Newcomb, molti critici la intendono un percorso, dalla sofferenza alla guarigione, se non alla redenzione. Ora, su quanto la musica renda effettivo questo percorso, al di là dell’ideale romantico di fusione tra arte e vita, è lecito dubitare. Lo slancio del primo tema del Finale, oltre a consumarsi ben presto in un tripudio di differenti e complesse elaborazioni, è largamente anticipato (con simili anacrusi, con simile guizzo di ritmi puntati) dal primo tema del primo movimento, nonché dalla tensione motoria dello Scherzo: e allora?. Il caleidoscopio dei rinvii ci mette maggiormente sull’avviso. Al compositore Johannes Verhulst, che gli fa visita in quel dicembre e si informa sull’opera in fieri, se possa essere di successo, Schumann risponde: “Ja – ich denke, so ‘ne rechte Jupiter” “Sì, credo, sarà una sorta di Jupiter”, pensando a Mozart. Alfred Dörffel, alla pubblicazione della partitura, nel 1847, ed Eduard Krüger sulla Leipziger Allgemeine Musikalische Zeitung, paragonano il Finale alla Quinta Sinfonia di Beethoven e alla n. 40 di Mozart; Ignaz Moscheles, udita l’opera alle due prime esecuzioni di Lipsia (dicembre 1846), dice che Schumann sta vieppiù calcando le orme di Beethoven. Pochi giorni prima di gettarsi nel fuoco compositivo, Schumann ha ascoltato al Gewandhaus la Sinfonia Grande di Schubert (anch’essa in Do maggiore, anch’essa aperta dalla solennità del tema dei corni). Passi dello sviluppo del Primo movimento ricordano l’Ottava di Beethoven. Un modello haydniano (la Sinfonia n. 104) campeggia per corrispondenze tematiche, ritmiche e di strumentazione. Nel secondo Trio dello Scherzo, all’addensarsi del lavorio contrappuntistico, con tanto di tema fugato, affiorano, subito riprese per aumentazione, le note Si bemolle-La-Do-Si naturale, che nell’uso tedesco compongono il nome di B-A-C-H (Schumann ha appena scritto le Sei fughe sul nome di Bach op. 60 e le Quattro fughe op. 72; Clara, Tre preludi e fughe op. 16). Nell’esacerbato tormento dell’Adagio, questa sì, l’interiore confessione di un’anima depressa, si intravedono corrispondenze con l’aria “Erbarme dich” dalla Matthäus-Passion.
Bach, Mozart, Haydn, Schubert, Beethoven: a chi sta guardando, Schumann, chi vorrebbe raggiungere? L’unità tematica, la densità della scrittura in questa Sinfonia, a suo modo epica e sacrale (non a caso conclusa da una cadenza plagale), sono profondissime: dallo squillo puntato di corni, trombe e trombone tenore, per quinte, e dall’ondulato decorso degli archi, che vi si intreccia, all’esordio del “Sostenuto assai”, germinano e si diramano, per coppie oppositive (Florestano ed Eusebio?), quasi tutti gli altri temi, assimilabili nello scatto dei ritmi puntati come nei flussi cromatici. “C”, cioè la tonalità di Do maggiore, è simbolo in Schumann fin troppo evidente, simbolo di Clara, l’amatissima. “Du meine Seele, du mein Herz,…”, “Tu mia anima, tu mio cuore…”. Molte sono le mete, chiari i volti, da cui Schumann si è sentito separato e lontano, e che con questa Sinfonia vuole riavvicinare: i grandi classici viennesi, il Titano, il sommo Sàssone, il contrappunto che guarisce, certo, ma c’è anche lei, Clara, cantata nei Myrten come “mein bess’res Ich”, “mio Io migliore”. La depressione, nebbia crudele, lo ha tenuto lontano dai tesori più preziosi, e ora la nuova opera, come un ponte di armonie lanciato sul baratro del tempo e del male, vola a raggiungerli. Nel Finale, il “vero” tema si svela a poco a poco. Lo sentirete, è tratto da Beethoven, e Schumann lo ha già citato tante volte, nei Davidsbündlertänze, nella Fantasia op. 17 e nel Quartetto op. 41 n.2: circola e si sviluppa, splende e svanisce, riecheggiando “Nimm sie hin, denn, diese Lieder…”, “Accogli dunque questi miei canti…”, da An die ferne Geliebte, “All’amata lontana”...
Robert Schumann: Sinfonia n.2 in do maggiore op. 61
Anni di composizione: 1845/46
Prima esecuzione: Gewandhaus, Lipsia, 5 novembre 1846,
direttore Felix Mendelssohn-Bartholdy
Organico: due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti; due corni,
due trombe, tre tromboni; timpani; archi.