19/07/2024
:: Intervista con l'executive editor del Washington Post

 

"Non facciamoci accecare dalla nostalgia per la carta stampata"

13/05/2010
Intervista con Marcus Brauchli, executive editor del Washington Post, di Gregor Peter Schmitz and Thomas Schulz


Marcus Brauchli parla con Der Spiegel della crisi mondiale dei media, della fine delle testate di riferimento e dell’Ipad. Ma il giornalismo di qualità, quello che ha reso famoso il suo giornale negli anni '70, con lo scoop del  Watergate, ha ancora un futuro luminoso davanti
SPIEGEL: Dove legge le notizie la mattina appena alzato?
BRAUCHLI: Una delle prime cose che faccio è guardare il mio Balckberry per vedere cosa è successo durante la notte. Do un'occhiata ai titoli, poi ai giornali, al Washington Post, al New York Times e al Wall Street Journal, poi vedo cosa fanno gli altri. Cerco notizie che noi non abbiamo.
SPIEGEL: Un direttore che non sa cosa pubblica il suo giornale?
BRAUCHLI: La nostra redazione non è più quella di un quotidiano tradizionale, e funziona 24 ore al giorno. E' possibile pertanto che la mattina io trovi qualche notizia della notte precedente di cui non sono a conoscenza.
SPIEGEL: E quindi, anche Lei - come molti oggi – si informa su più fonti. Il fenomeno non la preoccupa?
BRAUCHLI: Sono anni ormai che sta cambiando il modo di fruire della notizia. Sappiamo già che gran parte dei lettori attinge notizie da canali diversi. Può essere che alcuni leggano i giornali al mattino e alla sera, magari mettendo da parte articoli da leggere in un secondo momento, che è un esempio di rapporto con il giornale. Ma oggi non basta più riempire le pagine con le notizie del giorno prima: si devono dare più contenuti, analisi, punti di vista e commenti. Noi lavoriamo per fornire approfondimenti e inchieste, perché sappiamo che se si dà qualcosa che la gente non trova da nessun’altra parte, quella stessa gente poi tornerà da noi. Con la crescente disponibilità di informazione, è anche vero però che diventa sempre più difficile navigare nel mare di notizie a disposizione, e che la gente cerca marchi e testate riconoscibili e affidabili.
SPIEGEL: I giovani, in particolare, pensano che, se una notizia è veramente importante, arriverà loro attraverso Facebook o Twitter
BRAUCHLI: Di recente abbiamo lanciato una nuova applicazione di Facebook, attraverso la quale gli utenti del social network identificano articoli interessanti sul Washington Post, che possono poi essere condivisi con la rete di amici. Quando quegli stessi amici arrivano sul sito del Washington Post, hanno modo di vedere cosa è piaciuto agli altri o cosa gli altri hanno condiviso. Si crea così una specie di community di utenti del Washington Post all'interno di Facebook. E abbiamo notato un enorme aumento del numero dei lettori. Nel novembre scorso abbiamo lanciato anche un sito con notizie di interesse locale, per permettere maggiore facilità di accesso a notizie provenienti dall'area geografica di interesse. E là dove la versione cartacea ha, oggi come oggi, una diffusione minore, noi abbiamo allargato il bacino di utenza.
SPIEGEL: Il problema è che nulla di tutto ciò si traduce in profitto. L'anno scorso i giornali hanno perso 163,5 milioni di dollari. E l’anno scorso, mentre voi cercavate altri modi per fare cassa, il Post offriva ai lobbisti l'opportunità di sponsorizzare cene private con giornalisti del Post e politici a casa del vostro editore, Katharine Weymouth
BRAUCHLI: Sbagliavamo, e il progetto è stato fermato. Secondo me, però, ci saranno sempre molte fonti di incasso per chi si occupa di informazione; dobbiamo trovare modi per raggiungere i nostri utenti e trarre vantaggio da prodotti e contenuti. Credo anche che il Post debba essere coinvolto in conferenze ed eventi, ma in modo aperto e ufficiale.
SPIEGEL: Sarebbe più facile se i vostri lettori online pagassero quanto pagano quelli che comprano il giornale. Guardando al passato, crede che sia stato un errore non aver chiesto di pagare per l'online già dall'inizio?
BRAUCHLI: Difficile dirlo. Non ho dubbi che, in un modo o nell'altro, le persone vogliano pagare i contenuti. Già pagano per avere il Post a casa sette giorni a settimana, ma non abbiamo ancora individuato bene cosa è giusto per l'online.
SPIEGEL: Che succederebbe se tutti, contemporaneamente, decidessero di cominciare a far pagare per le notizie online?
BRAUCHLI: La cosa funzionerebbe se si potesse fare. Francamente non credo sia pensabile che tutti gli operatori del settore del Paese, o del mondo, si mettano d'accordo per fare qualcosa insieme. Se tutti i nostri competitor, per esempio, annunciassero di aver messo barriere intorno ai loro prodotti, la strategia migliore potrebbe essere dire che noi siamo gli unici a non averne.
SPIEGEL: Cosa la rende allora così ottimista sul fatto che le testate giornalistiche potranno far pagare per i loro prodotti in modo alternativo?
BRAUCHLI: In ultima analisi credo che la gente paghi già per l'informazione. Quello che non so è come venire in possesso di quei soldi. Le risposte sono molte, compreso quella che è la maggiore fonte di incasso oggi e cioè la pubblicità. Ancora meglio sarebbe far pagare cifre diverse per i diversi modi di accedere al prodotto. Al momento abbiamo un'applicazione per Iphone a pagamento. Non è molto, ma è qualcosa. In linea di principio, penso che se sapremo creare contenuti su misura, specifici per ogni piattaforma, far pagare potrebbe avere senso.
SPIEGEL: Nel mondo dei media sono molti quelli che sperano che l'Ipad di Apple possa rappresentare una soluzione a tutti questi problemi. Perché non c'è un'applicazione Ipad del Post ancora?
BRAUCHLI: Ci sono state delle lentezze in questo senso, ma vogliamo rimediare con la certezza di offrire qualcosa di riconoscibile e poter infine trarre vantaggio dalle possibilità dell'Ipad.
SPIEGEL: Date l’impressione di non credere che l'Ipad e altri strumenti elettronici di lettura avranno un ruolo significativo nelle news
BRAUCHLI: Credo che l'Ipad attuale non rappresenti ancora la versione definitiva di tutti i potenziali sviluppi del “mobile”. Ma rappresenta bene quello che sta per succedere. Noi teniamo gli occhi bene aperti su come stanno cambiando le abitudini di accesso alle news. Non credo che l'Ipad soppianterà o sostituirà il telefono portatile o il quotidiano. La sfida per noi, oggi, è creare e ottimizzare prodotti diversi per piattaforme diverse.
SPIEGEL: Secondo un sondaggio recente della Pew, più di metà dei giornalisti americani crede che le aziende per le quali lavorano spariranno nel giro di dieci anni. La crisi dei media è mondiale, ma perché si ha l'impressione che quelli americani stiano peggio di tutti?
BRAUCHLI: Non condivido una visione così negativa, non sono così pessimista. C'è molto buon giornalismo in giro e, ripeto, le agenzie giornalistiche saranno artefici del loro destino.
SPIEGEL: Ovvero?
BRAUCHLI: In passato, sia che mettessimo in prima uno scandalo o una questione politica, tutti quanti facevano la stessa cosa. Oggi, invece gran parte dei nostri lettori online non sono di Washington. E quindi il nostro destino dipende da quanti lettori sapremo conquistare fuori dall'area geografica di appartenenza, da tutti quelli che  sapremo indurre a seguire il nostro lavoro di giornalisti.
SPIEGEL: Questa logica fa il paio con il proliferare di storie senza senso sui vip e del gossip online, perché sono le notizie più popolari rispetto a notizie forti o ad analisi di un certo peso
BRAUCHLI: Mi permetta di chiederle, qual è la vostra diffusione?
SPIEGEL: Un milione a settimana
BRAUCHLI: Allora devo darle una brutta notizia, perché non tutti leggeranno lo stesso articolo. Solo una parte dei lettori di un quotidiano o di una rivista legge davvero tutti gli articoli. Secondo me, dobbiamo avere fiducia nel fatto che le persone cercheranno solo il pezzo che serve loro. C'è molto compiacimento tra coloro che si preoccupano del futuro del giornalismo e non si fidano del fatto che le generazioni future sapranno procurarsi l'informazione che vogliono. Quelli che si preoccupano fanno mescolano diffusione dei giornali e sopravvivenza della democrazia, che è una sciocchezza.
SPIEGEL: Eppure, molte agenzie giornalistiche come le conosciamo oggi spariranno
BRAUCHLI: E' chiaro che  la i giornali stampati sono in difficoltà. Arriverà il giorno in cui i quotidiani in edicola non occuperanno più la posizione dominante che hanno oggi, non credo però che quel giorno sia vicino. Non credo che la sopravvivenza del giornalismo dipenda dalla sopravvivenza delle istituzioni che lo rappresentano. Non dobbiamo permettere alla nostalgia per i giornali di offuscare il modo di fruire dell’informazione o di fare giornalismo. Non dobbiamo permettere che questa nostalgia metta i bastoni tra le ruote al futuro
SPIEGEL: Alcuni esperti ritengono che i Governi dovrebbero sostenere riviste e quotidiani in difficoltà con dei sussidi
BRAUCHLI: Per quanto mi riguarda, ci credo poco. So che ci sono stati degli studi interessanti, e che molti sono in sofferenza a causa del calo delle inserzioni o degli annunci, per dirne una, ma non credo che i sussidi siano la risposta.
SPIEGEL: Il buon giornalismo costa anche molto, soprattutto le inchieste investigative. Il Post è diventato famoso in tutto il mondo dopo lo scoop dello scandalo Watergate, che portò addirittura alle dimissioni dell'allora presidente Nixon. Sarebbe ancora possibile, oggi, quel tipo di giornalismo?
BRAUCHLI: Certo che sì. La nostra redazione di oggi è ancora più grande di quanto non fosse nel 1973. Abbiamo grandi potenzialità, per quanto riguarda il giornalismo investigativo, che è ancora al primo posto per noi. Abbiamo una squadra che fa solo inchieste di questo tipo.
SPIEGEL: Resta il fatto che gran parte dei giornali locali non si può permettere di fare inchieste BRAUCHLI: Il mercato dell'informazione locale è certamente in crisi, ma c'è anche gente che riesce a vedere lontano e che riesce a vedere nuove forme nella professione. Paul Steiger, un mio collega ai tempi del  Wall Street Journal, è il fondatore di ProPublica, l’agenzia no-profit online che ha vinto il Pulitzer con un reportage da un ospedale durante l'uragano Katrina. E' un modello che funziona, ed esistono altri esempi di sperimentazione nelle università
SPIEGEL: Le associazioni no-profit influiranno sul futuro del giornalismo investigativo? Sono molti i giornali americani che chiudono le sedi all'estero
BRAUCHLI: Esagerazioni. C’è un gran torcersi di mani sul declino delle corrispondenze estere... Sono stato a lungo corrispondente dall'estero. Ci sono più corrispondenti di giornali americani all'estero di qualsiasi altro momento storico. Molti, molti di più. Bloomberg ha corrispondenti in 135 città. Reuters e AP hanno un numero spropositato di giornalisti in tutto il mondo. L'americano medio sa molto più oggi di quello che succede altrove di quanto non sapesse vent'anni fa.
SPIEGEL: Ma non se ne vede granché. Giornali e riviste americane parlano sempre meno di quello che succede nel mondo.
BRAUCHLI: E' probabile che si sia ridotto il numero delle pagine degli esteri, ma è diminuito in genere il numero delle pagine di quotidiani, e non è detto che si debba dare conto di ogni singolo evento nel mondo. Oggi la testata di riferimento non esiste più. Oggi la testata di riferimento è internet. E anche in passato le testate di riferimento non erano testate di riferimento. I direttori mettevano insieme le notizie del giorno in base a quello che trovavano, e sapevano metà di quello che succedeva in giro per il mondo
SPIEGEL: Prima che lei diventasse executive editor del Washington Post nel settembre 2008, Lei lavorava al Wall Street Journal. Ha lasciato dopo che Murdoch aveva comprato la testata, con molti che si preoccupavano di quale sarebbe stato il suo futuro. Ma un uomo di vecchia scuola, per quanto riguarda l'editoria, non è un’assicurazione sulla vita per un giornale oggi come oggi, anche se chiama Rupert Murdoch?   
BRAUCHLI: Sono contento del sostegno che Murdoch dà a giornali e agenzie. Chiunque sostenga, anche economicamente, il giornalismo oggi merita un applauso. Molti dei devoti del giornalismo appartengono alla vecchia scuola e lo vogliono su carta. Ma ci sono anche altri, votati alla professione, che sono invece pionieri che portano il treno oltre i confini del mondo conosciuto alla ricerca di aria fresca
SPIEGEL: Grazie


Chi è Marcus Brauchli.
Veterano del giornalismo americano, Marcus Brauchli è il primo executive editor non allevato nella redazione del Washington Post. Dal 1984 redattore alla Dow Jones, l'azienda che pubblica il Wall Street Journal, è stato corrispondente da Tokio, Hong Kong e Shanghai per 15 anni. A neanche un anno dalla nomina a managing editor del Wall Street Journal, “la posizione di maggior potere nel giornalismo economico" secondo i giornali americani, Brauchli si è dimesso. Secondo alcuni commentatori la cosa era dovuta alla nuova gestione dopo l'acquisto del giornale da parte della News Corp di Rupert Murdoch. Dal settembre del 2008 è executive editor del Washington Post
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