LA FEBBRE DEL MONTE BIANCO
Il riscaldamento globale colpisce anche la vetta più alta delle Alpi. L'allarme degli esperti: nel 2100 paesaggio stravolto. Mappe e dati pubblicati su internet
La macchina del tempo ferma la sua corsa nel 2100. Il viaggio non è lunghissimo, ma il panorama che ci si presenta davanti una volta sbarcati è sconvolgente. Il Monte Bianco, il gigante delle Alpi, è praticamente irriconoscibile: ghiacciai ridotti a scaglie bianche sulle vette, vegetazione alpina migrata verso l’alto, alcune specie quasi scomparse. Il tutto immerso in una bolla di calore, con le temperature medie di almeno 3 gradi superiori a quelle attuali.
Per il momento è solo uno scenario, ma basato su dati scientifici e pubblicato nell’ambito di un progetto che coinvolge 65 università e centri di studi, coordinati dal Centro francese di ricerca sugli ecosistemi di alta quota. Esperti di Italia, Francia e Svizzera riuniti per studiare gli effetti dei cambiamenti climatici in un luogo unico in Europa, soprattutto per l’elevato gradiente verticale tra il fondovalle e i 4810 metri di quota della vetta. Il risultato è stato presentato a Chamonix, la capitale francese dell’alpinismo, e il materiale raccolto, che comprende mappe ed elaborazioni al computer su ciò che potrebbe accadere nei prossimi decenni, è consultabile anche su internet sul sito Atlante del Monte Bianco, www.atlasmontblanc.org.
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IL PERIODO PIU’ CALDO DEGLI ULTIMI 7MILA ANNI – A condizionare tutto sono le bizze del termometro. In questo angolo delle Alpi Occidentali al confine tra Valle d’Aosta e Alta Savoia il riscaldamento globale si sta già facendo sentire: nel corso del 20° secolo le temperature medie sono salite di circa 1,5°C, più del doppio rispetto ai +0,66°C registrati su scala globale.
Le previsioni sono inquietanti. Secondo molti modelli, entro il 2100 il Massiccio del Monte Bianco sperimenterà picchi di caldo estivi di 6-8°C maggiori di quelli attuali e medie invernali in aumento di 3-4°C. A luglio lo zero termico, cioè la quota dove si registrano zero gradi centigradi, potrebbe salire dagli attuali 3350 metri di media a 4083 metri di quota (GUARDA LE MAPPE). In pratica, è come se l’intera zona oggi venisse spostata sui Pirenei oppure centinaia di chilometri più a sud. Certo, il clima si modifica sempre nel corso dei secoli, ma per ritrovare condizioni simili bisogna tornare indietro di almeno 7mila anni, al cosiddetto optimum climatico dell’Olocene.
L’elenco delle conseguenze assomiglia a un bollettino di guerra: riduzione dell’innevamento, netta contrazione dei ghiacciai, scioglimento del permafrost con effetti sulla stabilità dei pendii, modifiche al regime idrico stagionale dei corsi d’acqua, scomparsa di specie che vivono in alta quota. “Ci sarà meno neve alle quote inferiori, con riflessi sull’attività delle stazioni sciistiche”, dice Niklaus Zimmerman, ecologo dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio di Zurigo. “Le piogge si infittiranno d’inverno e diminuiranno d’estate. La vegetazione cambierà”.
GUARDA L’INTERVISTA A NICKLAUS ZIMMERMAN
I GHIACCIAI – Nel 1644, durante quella che i climatologi definiscono “Piccola era glaciale”, uno dei ghiacciai più importanti del versante francese del Monte Bianco, la Mer de glace, avanzò così tanto da distruggere il villaggio di Bonanay. Negli anni ’20 del XIX secolo minacciò più volte il villaggio di Bois. Da allora si è progressivamente ritirato, con un’accelerazione impressionante negli ultimi decenni. Nella sola estate del 2003 ha perso due metri di spessore. Secondo le previsioni, il suo fronte potrebbe arretrare anche di un chilometro entro il 2030.
L’evoluzione della Mer de glace è simile a quella di altri ghiacciai costantemente monitorati, sia in Francia sia sul versante di Courmayeur in Italia. È il caso, ad esempio, del Glacier des Bossons, del Glacier de l’Argèntiere e del ghiacciaio di Pré de Bard (GUARDA LE IMMAGINI). L’agonia degli apparati glaciali si riscontra ovunque sul Massiccio del Monte Bianco.
“Attualmente i nostri ghiacciai si riducono di 30-40 metri ogni anno”, dice il glaciologo Luc Moreau. “Se tutto continuerà come adesso, fra un centinaio di anni la metà o anche più sarà scomparsa”. Secondo alcuni modelli, i ghiacciai potrebbero perdere addirittura il 90% della loro massa. In pratica, mentre oggi alcuni si spingono anche al di sotto dei 2000 metri di quota, all’inizio del prossimo secolo rimarranno solamente quelli posti nelle zone sommitali.
Non è la prima volta che accade: i ghiacciai sono tutt’altro che statici. Alla fine dell’ultima era glaciale la loro estensione sul massiccio era il triplo di oggi, mentre 7mila anni fa era ridotta ai minimi termini (GUARDA LE MAPPE). I cambiamenti attuali però impattano direttamente sulle attività umane, ad esempio per la formazione di sacche d’acqua in quota che potrebbero riversarsi improvvisamente a valle causando inondazioni.
GUARDA L’INTERVISTA A LUC MOREAU
LA FLORA E LA FAUNA – L’abete rosso è uno degli alberi più comuni ai piedi del Monte Bianco. Su queste montagne oggi è una delle specie dominanti. Eppure potrebbe trovarsi in difficoltà se diventeranno realtà gli scenari proposti dagli studiosi. L’innalzamento delle temperature spingerà queste conifere sempre più in alto: il loro habitat ideale, che oggi è posto a 1300 metri di altezza, si sposterà a quota 1800 metri. Più si sale, però, meno superficie c’è a disposizione: l’area su cui crescere è destinata a ridursi. Nel 2100 i boschi che caratterizzeranno le vallate saranno molto diversi.
Andrà molto peggio al ranuncolo glaciale. Si stima che nel 2100 sarà in arretramento nel 70% del suo areale di distribuzione attuale. “Oggi lo troviamo fra 3000 e 3500 metri di quota - spiega Wilfried Thuiller, ecologo del laboratoire d’écologie alpine di Grenoble – Le montagne sono a forma di cono: se le condizioni ideali salgono di quota, si restrige l’habitat ideale in cui prosperare”. Questo accade sul Monte Bianco, dove la vetta sfiora i 5000 metri. In altre aree delle Alpi un fenomeno del genere potrebbe significare la scomparsa di questa specie (GUARDA LE MAPPE).
Lo stesso potrebbe accadere agli animali. I cambiamenti climatici potrebbero innescare delle vere e proprie migrazioni, con specie che ne sostituiranno altre. In questa battaglia per sopravvivere, chi già oggi vive in alta montagna è più fragile e potrebbe pagare il prezzo più alto.
GUARDA L’INTERVISTA A WILFRIED THUILLER
QUESITI ANCORA APERTI – Gli scienziati più prudenti sottolineano che per il momento si tratta di scenari. I cosiddetti "non catastrofisti" sostengono che a governare il clima sia la Natura e non l'attività dell'uomo e che le previsioni non tengano in considerazione fattori naturali che conosciamo ancora poco. “Disponiamo di modelli matematici, che però si basano sui dati di oggi - dice la glaciologa Augusta Vittoria Cerutti – Siamo in un periodo di evoluzione, che si è accelerata dalla fine degli anni ’80 con un aumento della temperatura media dell’atmosfera, però è molto difficile stabilire cosa possa capitare nel giro di un secolo, sia dal punto di vista astronomico sia da quello dei venti e delle correnti”.
È comunque innegabile che i cambiamenti in corso siano profondi. “Il ghiacciaio Lex Blanches ha perso completamente la lingua valliva – continua Augusta Vittoria Cerutti – mentre la Brenva, che era un unico apparato lungo 8000 metri adesso è costituita da due mozziconi, uno di 3000 metri e uno di ghiaccio fossile”.
GUARDA L’INTERVISTA AD AUGUSTA VITTORIA CERUTTI
AIUTARE GLI STUDIOSI CON UNA FOTO – Proseguire negli studi è l’unico modo per comprendere meglio cosa sta accadendo e cosa succederà. Il sito www.atlasmontblanc.org, oltre a divulgare i contenuti delle ricerche, servirà anche per coinvolgere i cittadini. Le loro fotografie, soprattutto se scattate molti anni fa, potranno rivelarsi preziose per osservare i cambiamenti dell’ambiente naturale. “Vorrei lanciare un appello – dice Anne Delestrade, direttore del Centro di ricerca sugli ecosistemi di alta quota di Chamonix – Ci servirebbero immagini di periodi e luoghi differenti per vedere come il bosco è cambiato negli anni. Sul ritiro dei ghiacciai abbiamo maggiori dati e fotografie, ma sull’evoluzione della vegetazione ci mancano molte informazioni”. Una foto non basterà per modificare il futuro, ma potrà aiutare a capire i cambiamenti e a prendere eventuali contromisure. Un piccolo contributo per rendere ancora più dettagliato e realistico il ritratto del Monte Bianco del futuro.
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Andrea Bettini e Fulvia Ferrero
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