“Io non ci sto...”. Un destino segnato dalle bombe; quella che uccise Giovanni Falcone e quelle che devastarono Roma, Milano e Firenze all'insegna della sfida mafiosa allo Stato. Oscar Luigi Scalfaro ha visto segnato da scoppi devastanti il suo settennato. Una bomba diversa dalle altre ma della stessa forza (tanto da fargli ipotizzare seriamente di abbandonare la carica di capo dello Stato) scoppiò il 29 ottobre del 1993.
Scalfaro è al Quirinale da 19 mesi e sui giornali compaiono le prime indiscrezioni che arrivano dall'ex direttore amministrativo del Sisde, il Servizio Segreto Civile, Maurizio Broccoletti. Fondi “non sempre per fini istituzionali” sono andati per diverso tempo a ex ministri dell'Interno e a uomini politici tra cui Scalfaro. Poche settimane di feroci polemiche e il capo dello Stato, dopo aver meditato seriamente le dimissioni, contrattacca con un messaggio a reti unificate e in una diretta tv che fece epoca. È il 3 novembre del 1993. “Io non ci sto... a questo gioco al massacro. Occorre rimanere saldi e sereni poiché prima si è tentato con le bombe, ora con il più vergognoso e infame degli scandali”. Da quel momento la linea di Scalfaro fu quella del riserbo: il capo dello Stato affrontò il tema pochissime altre volte preferendo lasciare agli altri vertici istituzionali il compito di difenderlo e di contrattaccare. Il nocciolo disse in sostanza era un vero e proprio ricatto portato non alla sua persona ma alla istituzione della Presidenza della Repubblica.
Tra dichiarazioni, smentite, indiscrezioni e una vera e propria sarabanda di verbali di interrogatorio pubblicati sui giornali il giallo del Sisde minacciò il Quirinale per oltre un anno intrecciandosi anche con i contraccolpi di tangentopoli e le mai chiarite minacce che arrivavano dalla Falange Armata anche al Colle.
Il Sisde-gate diede motivi di polemica al centrodestra che non aveva mai gradito l'elezione di Scalfaro al Quirinale. Il presidente uscì indenne dalla vicenda giudiziaria. Nel '96 vi fu l'archiviazione per il reato di attentato agli organi costituzionali mosso, secondo l'accusa, dagli ex funzionari del Sisde, Riccardo Malpica, Maurizio Broccoletti, Antonio Galati. Nel '94, quando già il vecchio vertice del servizio era finito sotto inchiesta, il Sisde fece pervenire alla magistratura un appunto nel quale si sosteneva che “segnali di specifici interessi al condizionamento e all'intimidazione, anche fisica, della suprema magistratura dello Stato sono evidentemente rilevabili dalla lunga serie di minacce telefoniche della sedicente Falange Armata”. Quel difficile periodo è rimasto scolpito nella memoria di Scalfaro. Nel '98 ha ricordato in un'intervista concessa alla Rai che “ci sono stati periodi in cui c'è stato il tiro a segno sulla figura del capo dello Stato e anche sui suoi affetti più profondi”