La lunga Festa del Cinema di Roma ci lascia dopo quasi due settimane, un altro passo nella ricerca di un’identità che non sia quella di una Mostra del Cinema veneziana, con l’autorevolezza del concorso e dei Leoni, e punti di più sul rapporto con il pubblico e il tessuto di una città in cui il cinema è storicamente di casa. Peraltro, una competizione - Progressive Cinema - c’è stata e la giuria presieduta da Gael Garcia Bernal ha premiato come miglior film Pedàgio di Carolina Markowitz, San Paolo del Brasile, una trama crime story e l’insofferenza di una madre per l’omosessualità del figlio. Gran Premio della Giuria: a Urotcite Na Blaga (Blaga’s Lessons) di Stephan Komandarev, un’anziana vedova che truffata si vendica, miglior regia al belga Joachim Lafosse per Un silence, sul dramma della pedofilia. A Alba Rohrwacher il Premio “Monica Vitti” per il visionario Mi fanno male i capelli di Roberta Torre, mentre il Premio “Vittorio Gassman” è andato a Herbert Nordrum per Hypnosen, comedy-drama sugli effetti destabilizzanti di un’ipnosi. Infine il riconoscimento per la sceneggiatura è stato attribuito a Aszli Õzge per Black Box, microcosmo umano a Berlino e speculazione edilizia.
I numeri dicevamo. Circa 90mila biglietti venduti che fanno gioire il presidente della Fondazione Cinema per Roma Gian Luca Farinelli: “Dati non scontati che sembrano quasi finti per quanto enormi. Vedere tanto pubblico per 11 giorni in un’epoca estremamente difficile, anche con il ritorno del Covid, è notevole. Siamo riusciti a restituire curiosità al pubblico e molti dei film presentati saranno parte rilevante della stagione cinematografica”. Il Presidente sottolinea il successo al box office del film d’apertura, C’è ancora domani di Paola Cortellesi, mentre in Francia trionfa Second Tour presentato in Grand Public: “La Festa non vive in una bolla ma ha una relazione con quello che succede ed è utile al sistema”.
La direttrice artistica Paola Malanga torna all’ispirazione della manifestazione “riaccendere la voglia di cinema” e Roma: “A Roma il poco è nulla. Questa grande città merita una grande manifestazione. Il cinema italiano sta vivendo un buon momento, come ha dimostrato l’importante presenza di nostri film a Cannes e Locarno. Gli stranieri, forse perché sono meno coinvolti nei dibattiti, vedono la varietà e ricchezza della nostra produzione. Noi spesso oscilliamo tra depressione ed euforia, quindi ci fa bene scoprire un punto di vista più oggettivo. Roma è un festival più rilassato che consente di riflettere e confrontarsi con la giusta distanza”.
Sono dati importanti che hanno dovuto confrontarsi anche con il disagio creato dai lavori in corso nella Capitale per il Giubileo del 2025 e hanno interferito con la dislocazione delle proiezioni nelle sale della città. L’immaginario del cinema costretto a misurarsi con la materialità dei cantieri e la rivoluzione della viabilità. Qualcuno ha proposto di cominciare le giornate della Festa nel primo pomeriggio in modo da evitare le ore di punta del traffico, come fanno nel Festival dell’America centrale, una provocazione che dice di un problema.
Resta l’impressione di una Festa forse iper-gonfiata nel programma - 169 film presentati - con tanti, troppi film, molti, moltissimi italiani, sparsi nelle diverse sezioni. Presentarli vuol dire offrire una vetrina che però rischia di essere inflazionata dalla sua stessa quantità, impedendo alla fine di distinguere.