In pieno svolgimento la Mostra del Cinema di Venezia, alla fine della settimana si conosceranno i vincitori decisi dalla giuria presieduta da Damien Chazelle.
Ma intanto non sono mancate le polemiche, nulla di drammatico e però pronte a toccare alcuni punti sensibili importanti dell’attualità che vanno anche oltre il perimetro del cinema.
Ha iniziato Pierfrancesco Favino, interprete a Venezia di Comandante e Adagio, lamentando il fatto che il protagonista di Ferrari, il film diretto da Michael Mann, non fosse italiano. Ha rivendicato una sorta di equazione etnica per cui a personaggi italiani dovrebbero corrispondere interpreti dal certificato di nascita nazionale. No, dunque, a queste invasioni di campo, anche se impersonate da attori illustri, nel caso in questione Adam Driver.
Non hanno gradito in molti, per esempio Sofia Coppola, presente a Venezia per Priscilla, sulla ragazza che fu compagna di vita di Elvis Presley.
Ha sottolineato che “Ogni regista deve essere libero di fare le sue scelte” e certamente nel conto va anche messo un ragionamento strettamente economico-produttivo, per cui un film che costa 90 milioni di dollari, come appunto Ferrari, e si rivolge al mercato mondiale, ha bisogno di un interprete che dia garanzie e sia conosciuto a livello globale.
Se dunque Favino ha voluto difendere la professionalità degli attori italiani, viene anche a domandarsi se il nostro cinema in questo momento abbia volti capace di imporsi a quel livello. C’erano una volta Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Anna Magnani e Marcello Mastroianni, oggi forse non c’è una pattuglia così illustre e agguerrita.
Seconda discussione sul red carpet. Sappiamo quanto ormai un evento come in questo caso la Mostra sia inseparabile dalla passerella in cui sfilano i protagonisti, attesi da uno stuolo di fotografi e telecamere oltre che da una folla di fans che urlano, chiedono autografi e protendono la mano per un selfie.
Quest’anno, complice anche lo sciopero degli sceneggiatori e degli attori americani, le sfilate sono cambiate e si sono riempite di personaggi che poco hanno a che fare con il cinema e molto invece con il mondo degli influencer e dei reality show. Gente buona per riempire le pagine dei rotocalchi e per rimbalzare nei circuiti social, in cui sono sicuramente figure dominanti con incalcolabile seguito di follower. E però c’è chi si è chiesto se sia coerente con una Mostra internazionale d’arte cinematografica esibire personaggi che vengono solo per farsi vedere con un narcisismo che è proporzionale alla necessità di promuovere la loro immagine e il mercato che rappresenta. Che la Mostra non stia intraprendendo una strada che da anni percorre, per fare l’esempio per noi più clamoroso, il Festival di Sanremo? Vale a dire una manifestazione che s’intitola alla canzone italiana che della canzone ha fatto soltanto uno degli ingredienti dello spettacolo, insieme a sport, cinema, televisione, cronaca, costume e via dicendo. Il fatto è che non si tratta di essere puristi e voler difendere il cinema tirando su una gabbia attorno al Palazzo della Mostra, piuttosto - mi pare il caso di sottolinearlo - va evitato il rischio di compromettere quell’aura che è inseparabile dall’immagine stessa di un evento in cui la centralità appartiene al cinema e a tutti coloro che di quel mondo, e del fascino che continua ad esercitare, fanno parte.
Infine. Woody Allen e Roman Polanski. Stiamo parlando di due registi che hanno fatto la storia del cinema e, alla veneranda età che hanno raggiunto, sentono ancora il bisogno di esercitarsi dietro la macchina da presa e costruire le loro storie. Allen ha 87 anni e a Venezia ha presentato una commedia che ha riscosso grande successo, Coup de chance, mentre il novantenne Polanski ha firmato anche lui una commedia, The Palace, con risvolti noir e thriller che molto ha diviso la critica.
Ma non è la qualità dei loro film che ha alimentato le polemiche quanto piuttosto il fatto che entrambi, in modi ovviamente diversi, hanno alle spalle procedimenti giudiziari per comportamenti sessuali con minorenni. Il regista polacco non è venuto a Venezia proprio perché su di lui grava un mandato di estradizione emesso dai tribunali americani. Ai due va aggiunto anche Luc Besson, a Venezia con Dogman, denunciato per stupro, peraltro con archiviazione per quanto riguarda l’attrice Sand Van Roy con cui ebbe una relazione di due anni, restando aperti altri casi.
Hanno sollevato polemiche queste presenze, in particolare su Le Monde e Hollywood Reporter che ha definito i tre “problematic men”.
Il commento del direttore della mostra Alberto Barbera: “Sono per la giustizia, non per la persecuzione. Besson ha beneficiato di un non luogo a procedere. Allen è stato assolto due volte negli anni ’90. Quanto a Polanski, chiese le scuse alla vittima, che le accettò. Lei chiede di smettere di rivangare questa vicenda, che risale a più di quarant’anni fa». E ancora: «La storia dell’arte è piena di delinquenti sessuali, anche criminali: dovremmo smettere di ammirare i dipinti di Caravaggio? Tra qualche decennio continueremo ad ammirare i film di Polanski allo stesso modo. Non vedo alcun motivo valido per non selezionare uno degli ultimi maestri del cinema ancora attivi, a 90 anni”.
La prova più dura ha dovuto affrontarla Woody Allen. Mentre sfilava sul tappeto rosso, una trentina di femministe lo ha accolto al grido di “stupratore” e “Abbasso il patriarcato”. La vigilanza le ha allontanate. Libere ovviamente loro di contestare, in ogni caso in nome di una causa inoppugnabile, liberi gli spettatori di guardare dei film usciti dal genio creativo di tre artisti.