18 minuti bastano per fare una strage. Sono le 19.55 di venerdì scorso quando alcuni uomini mascherati, in tuta mimetica, entrano nel Crocus City Hall di Mosca e cominciano a sparare con i mitra a chiunque incontrino e agli spettatori in attesa di un concerto della band Picnic, che invano cercano di ripararsi. Un macello che, nonostante il raid mortifero di Hamas e le bombe israeliane su Gaza e la quotidianità normalizzata di quella che resta una orribile guerra, ci riporta alla memoria il terrorismo, quello certamente islamico del Bataclàn e della Promenade des Anglais di Nizza, e ancor prima alle ecatombi cecene del Teatro Dubrovka e (anche qui con l’ombra dell’integralismo islamico) della scuola numero 1 di Beslan, nella Ossezia del Nord. E tuttavia, nello sconcerto per un fantasma sanguinario che torna, c’è un’impressione nuova che confonde e stordisce.
Chi ha sparato e perché? E perché proprio adesso, in questa congiuntura devastata da due conflitti? Domande che sarebbero legittime se lo scenario fosse quello di qualche anno fa E non invece un guazzabuglio geopolitico a cui si sovrappone una guerra che ha per protagoniste le notizie. È un tempo il nostro in cui ormai siamo abituati a vedere tutto quasi in diretta. Compaiono sulla rete le immagini registrate dalle telecamere che gli attentatori indossano perché testimoniano del massacro. Vanno all’assalto con la consapevolezza di stare dentro uno spettacolo che dovrà essere replicato per il pubblico globale in una partita in cui le immagini e la loro circolazione istantanea fanno parte della guerra. E infatti poco dopo arriverà la rivendicazione dell’Isis nella parte che riguarda l’area Afghanistan, Pakistan, Uzbekistan, l’Isis con l’aggiunta di una K che sta per Khorasan che vuole dire la Terra del Sole.
E la rivendicazione si accompagna proprio con quelle immagini… Dunque, la strage e poi un’esplosione e poi un incendio che fa crollare il tetto. In ogni caso gli esecutori, quattro secondo le fonti russe, se ne vanno a bordo di una macchina bianca che potrebbe anche essere intercettata se appena ci immaginiamo lo spiegamento di polizia che ci aspetteremmo dal regime putiniano.
E invece le milizie arriveranno mezz’ora dopo a dimostrazione che qualcosa comunque non funziona tanto più se si ricorda l’avvertimento che qualche giorno prima i servizi segreti americani avevano ritenuto di consegnare a quelli russi. Fuggono i terroristi, abbandonano le armi, fino essere intercettati chi dice vicino al confine con la Bielorussia chi invece a quell’ucraino, perché - ormai è chiaro e forse è l’unica certezza - in questa storia mentre vediamo delle immagini nulla è definitivamente sicuro e tutto viene risucchiato in un gioco di dichiarazioni che si rincorrono e si rimandano, l’una prontamente smentita dell’altra.
Stiamo dentro un gioco di versioni. Lo Stato islamico del Khorasan dice che sono stati loro e lo conferma anche il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Usa. Il presidente Putin, di contro, prende atto ma non rinuncia a cercare una connessione con l’Ucraina, anche per : “I funzionari non sanno chi ha ordinato di eseguire la strage. Ci interessa sapere chi ne trae vantaggio”, e ha aggiunto che l’attentato “è un atto di intimidazione da parte dell’Ucraina”. A sua volta l’Ucraina smentisce qualunque coinvolgimento e anzi rimanda al mittente la tesi e accusa Putin e i servizi segreti russi di aver organizzato la strage per rovesciarla sulla scena della guerra e farne un’ulteriore arma per legittimarla.
E l’Italia? Condanna e, per voice del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, spiega che da noi non ci sono le condizione per atti così sconvolgenti e che semmai il problema è il reclutamento on-line di lupi solitari. Insomma, l’evidenza delle vittime, 143, la nebulosa di un attentato che viene spostato immediatamente nel gioco delle posizioni e degli interessi dei vari contendenti, dove non basta nemmeno una rivendicazione ufficiale per attestare la certezza di una verità. Vediamo le immagini dei quattro terroristi arrestati. Sono inquietanti, mostrano segni di tortura, sono stati picchiati, volti tumefatti, uno su una sedia a rotelle con un catetere e visibilmente incosciente, un altro con il volto fasciato come si può, quello che quando è stato catturato ha subito il taglio di una parte dell’orecchio che poi gli è stato messo in bocca… Turbolenze, efferatezze, i quattro arrivano al tribunale di Basmanny per la conferma dell’arresto, dovrebbero essere tutti originari del Tagikistan, uno dice di essere stato reclutato attraverso instagram e che gli hanno dato l’equivalente di cinquemila euro…
Già, qualche migliaio di euro! Viene da pensare all’ulteriore orrore di una transazione che in nessun conto mette la vita di ignari riuniti per un’occasione festosa come può essere quella di un concerto, e al tempo stesso dice del nulla che può abitare dentro un cuore che si prepara a premere il grilletto di un fucile mitragliatore. Intanto, Putin è andato ad accendere una candela nella chiesa di Novoye Ogarevo. Deve dare sicurezza a un Paese che ha visto fallire il sistema di sicurezza e non deve distrarre dall’obiettivo di quella che una volta chiamava “operazione speciale” e adesso è semplicemente guerra.