“Una grande confusione in Russia, ma attenti a cosa vi augurate. Il prossimo potrebbe essere molto peggio”. La dichiarazione di Donald Trump sugli accadimenti drammatici di questi giorni in Russia conferma quanto inquietante sia lo scenario e imprevedibile la partita che vi si sta giocando.
Certo è che i mercenari del gruppo Wagner sono arrivati, secondo il loro capo indiscusso Evghenij Prigozhin, a circa 200 km da Mosca e si sono fermati, dopo le pubbliche intimazioni del presidente Putin che ha parlato di “tradimento” e di “coltellata alla schiena” che rievoca quella inferta dai bolscevichi all’esercito dello zar nel 1917, e dopo la mediazione che sembra per ora decisiva del presidente della Bielorussia Lukashenko.
La realtà non finisce di sorprendere e ci ricorda la complessità degli elementi e degli interessi che vi si confrontano. Alcuni sembrano evidenti, altri restano sullo sfondo, altri ancora non si rivelano oppure si manifestano ma con un’ambiguità che li rende indecidibili.
Chi è Prigozhin? Il capo di un’organizzazione militare privata, utilizzata dalla politica russa in operazioni parellele dalla Siria alla Libia al Donbass, dove ha manifestato una sempre più accentuata insofferenza nei confronti dei vertici militari russi e del ministro della difesa Shoigu, accusati di avere boicottato la Wagner e di aver causato centinaia di morti.
Per questo avrebbe deciso di marciare su Mosca dopo aver occupato Rostov, il centro nevralgico delle operazioni militari in Ucraina, lanciando un attacco e una provocazione come mai si erano viste nel corso del dominio incontrastato del presidente Putin.
Con un problema in più, che alimenta i dubbi, perché il potere di Prigozhin è nato e si è rafforzato all’ombra dello zar del Cremlino, dai tempi in cui si occupava ristoranti frequentati dallo stesso Putin, di mense per le scuole e l’esercito a Leningrado, per poi mettere insieme troll e hacker che avrebbero condizionato la campagna presidenziale americana con gli attacchi informatici a Hillary Clinton, e poi con la costituzione di questa armata che avrebbe dovuto restare invisibile, proprio per realizzare gli obiettivi pubblicamente inammissibili per cui era stata creata. Questo cammino non si spiega senza la inossidabile fedeltà a Putin, che peraltro lo stesso Prigozhin ha sempre evitato di attaccare.
E però, qualcosa dev’essere successo per convincerlo ad effettuare lo strappo, e non bastano la sua tracotanza, la megalomania e la brutalità dei comportamenti. Non si dirige su Mosca un’armata di alcune migliaia di guerrieri rischiando una guerra civile come se si trattasse di un colpo di stato da operetta. No, la minaccia deve essere stata reale e certamente lo stallo della guerra in Ucraina deve aver messo il gruppo Wagner in una condizione molto difficile, ben diversa da quella di chi immaginava la rapida conclusione della Operazione speciale. Deve essere stato l’annuncio di un sisma incontrollabile, che ha costretto Putin a intervenire in modo così esplicito - anche qui mai nominando Prigozhin - per fermare un vulnus per la stessa unità nazionale, peraltro dovendo affidarsi alla mediazione di Lukaschenko: lo stop, la ritirata in Bielorussia, nessuna punizione per chi ha partecipato.
Ci restano alcune domande a cui non è facile rispondere. Questo falco ultranazionalista è solo il capo di un manipolo agguerrito, maltrattato degli apparati del governo russo, o è la spia di una risorgente pulsione estremistica che fa parte della storia russa, rispetto a cui Putin stesso si rivela una sorta di formazione di compromesso che rischia di non mantenere più un equilibrio? Siamo di fronte a uno di quei generali come nell’annus horribilis del 69 d.C., che scendevano verso Roma forti del loro esercito per insediarsi sul trono vacante dell’imperatore? Nell’immensità di questa Russia che va dall’Europa a Vladivostock cova un’anima ipertradizionalista e un orgoglio nazionale così profondo che Putin non è più in grado di rappresentare e che dunque può aprirsi a soluzioni ancor più autoritarie e geopoliticamente destabilizzanti? E lo stesso Prigozhin è una meteora passeggera o una miccia accesa su un paese in cui all’improvviso tutto potrebbe diventare incontrollabile, l’esercito, la galassia degli oligarchi che finora con Putin ha trovato un punto di garanzia, le tentazioni autonomiste delle repubbliche della Federazione?
Potrebbe anche essere stato un paradossale gioco delle parti, ma l’impressione è che quella marcia su Mosca abbia rivelato una crepa sinistra nel piedistallo dello Zar e per Occidente non è affatto la notizia che si aspettava.