VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Il morto che camminava

Di Guido Barlozzetti

 

Evghenij Prigozhin è morto. Non sembrano più esserci dubbi in una storia che di angoli oscuri ne ha così tanti da far pensare che non arriverà mai una luce a dire di una verità.

È la Russia di Putin, che infatti tace. Nulla di nulla, neanche un qualsivoglia accenno nel collegamento video che ha avuto con i Brics, le contro-potenze emergenti riunite a Johannesburg. Tace e continuerà a tacere perché un potere come quello del neo-Zar non può permettersi parole ma solo l’ambiguità di un silenzio che pesa, impenetrabile come le mura del Kremlino e la testa del dominus di tutte le Russie.

Prigozhin è morto, lui che fino all’improvvida marcia su Mosca di un paio di mesi fa era un amico fedele, ristoranti, catering e montagne di rubli, e poi l’artefice comandante di quella Brigata Wagner fatta apposta per sbrigare il lavoro più sporco in Siria, Africa e, da ultimo, sul fronte sanguinoso dell’Ucraina. Il macello da cui aveva osato lanciare strali contro ministri e generali colpevoli di mandare al massacro i suoi brigatisti.

È morto su un aereo che era il suo e da Mosca stava volando verso San Pietroburgo con altre nove persone, tra cui anche il cofondatore della Brigata Dmitrij Utkin. Dodici minuti dopo il decollo il jet, un Embraer Legacy 600 , ha fatto su è giù per qualche migliaio di piedi e poi è scomparso dai radar. Uno schianto, le fiamme e la storia di un abbraccio tra un servitore che doveva essere fedele e il dominus che non può tollerare ombre sul suo potere è finita.

Pare che abbiano trovato il suo cellulare accanto a uno dei corpi, irriconoscibile come gli altri, e la sua morte sembra solo la chiusura annunciata di un cerchio fatale, la fine scontata di una vittima predestinata. Che sia stata una bomba, come pensa l’agenzia federale del trasporto aereo russo, o la contraerea dalla mira infallibile, secondo i Wagneriani, storditi, sbandati e a questo punto con un futuro che più fosco non si può. Sono diventati troppo scomodi, più dei compiti inconfessabili per i quali sono stati addestrati, gente border fatta per muoversi nell’area grigia del mondo, mercenari o contractor certo, ma anche disponibili a mettere in gioco la vita e a commettere le nefandezze peggiori per sentirsi vivi. Non servono più.

In ogni caso pedine, perché questa è la verità che il loro capo ha dimenticato, non era lui a condurre il gioco, tanto più quando ha pensato di poter forzare la situazione con quella avanzata verso la capitale, magari confidando su appoggi che alla resa dei conti non dovevano essere così solidi come si era illuso che fossero.

È la Russia, dove delle partite non si vede mai con chiarezza lo svolgimento e si può solo prendere atto di quello che accade, storie antiche che possono nascere solo all’ombra di poteri assoluti che non devono spiegare e dare ragione di quello che fanno. Semplicemente fanno, che sia il crudele e mortale gioco a eliminazione orchestrato da Stalin con chi osava discutere, il golpe che azzoppa Gorbačëv o le morti cruente e la scomparsa di chi ha ardito criticare un neo-zar senza dinastia ma con un ferreo e brutale senso del Potere e dei metodi con cui si amministra.

Prigozhin è morto e, quale che sia stata la causa che ha fatto cadere il suo aereo, il cadavere irriconoscibile su un prato bruciato è un monito spietato e la conclusione che adesso sembra ineluttabile di una parabola impazzita o forse incapace di capire fino in fondo il peso delle forze in campo e la posta della contesa.

Prigozhin è morto e doveva morire, non c’è neanche bisogno di pensare che qualcuno abbia ordito un piano per liberarsene e trovato il sistema per tirare giù quell’aereo. Era vivo, sì, ma come il fantasma di se stesso.

Non è un film dove la finzione incastra gli accadimenti secondo la necessità di una trama, è uno di quei casi in cui la nebulosa della realtà appare attraversata da una necessità che non ammette alternative e conduce all’esito finale la partita della vita e della morte. All’ombra del Potere.

 

 

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