VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Festeggiamenti dei tifosi del Napoli che sventolano bandiere e striscioni.

Napoli, uno scudetto e il mondo

Di Guido Barlozzetti

 

Non è uno scudetto qualsiasi quello vinto dal Napoli e riesce anche difficile parlarne senza cadere nei luoghi comuni che spesso accompagnano il racconto e l’immagine di una città che con tutte le sue contraddizioni alimenta un mito universale di bellezza e di umanità. Dopo 33 anni il Napoli è campione d’Italia, Il terzo successo dopo i due campionati vinti da una squadra su cui splendeva la luce di Diego Armando Maradona. Lo ha vinto pareggiando sul campo dell’Udinese, dove peraltro innescati dalla violenza dei tifosi locali si sono verificati incidenti assai sgradevoli di contro all’atmosfera di gioia e felicità che avrebbe dovuto animare quel momento. Un’ombra rispetto alle scene che abbiamo visto in diretta da Napoli, quelle di una festa collettiva, segnata da un’energia e da un entusiasmo che esorbitano rispetto a quelle che accompagnano i trionfi del calcio. Si pensi per stare agli ultimi accadimenti, all’immensa folla che ha atteso Messi e i campioni del mondo dell’Argentina a Buenos Aires.

Quello che si annuncia a Napoli è un evento di popolo tracimante e irrefrenabile che potrebbe anche far tremare le viscere inquiete e magmatiche del Vesuvio. Ne abbiamo visto già qualche avvisaglia, negli spogliatoi dello stadio di Udine e sulle piazze di Napoli tra salti, balli, trombette, fumogeni, fuochi artificiali, nel segno di una pazza gioia che non finirà di stupirci.

Ma qui appunto sta in agguato lo stereotipo e la vittoria del Napoli paradossalmente collabora. Un guazzabuglio vociante e rumoroso in cui si mescola di tutto, il presidente Aurelio de Laurentiis che non perde occasione per polemizzare con l’Uefa cattiva che avrebbe interrotto il cammino della squadra della Champions, altri che vedono nello scudetto l’ennesima occasione di un riscatto per un Sud che storicamente resta indietro nel cammino del paese, l’orgoglio regale con cui Carlo di Borbone delle Due Sicilie si unisce ai festeggiamenti, l’esultanza delle monache Cappuccine che anche loro vogliono partecipare, i parroci che suonano le campane e ancora i colpi di pistola che dicono di una scriteriata follia e però al tempo stesso feriscono e uccidono evocando fantasmi che nulla hanno a che fare con il calcio, e i maestri di San Gregorio Armeno che scolpiscono un presepe della squadra su cui svolazza l’angelica protezione di Diego. Lui, sì, il pibe de oro, che è il vero protagonista di questa storia, capace di oscurare le virtù salvifiche di San Gennaro e di spargere la sua oltremondana benedizione su una città che lo ha eletto a Santo, in un innamoramento che riscatta dalle miserie e dalle ingiustizie e va oltre la Storia.

Napoli non ha mai smesso di vivere in un’istintiva comunanza di spirito con Maradona, genio inarrivabile della pedata e vorace di una vita tirata al limite, generosità e dissipazione che si avvolgono su se stesse in una sintesi impareggiabile di bellezza olimpica e di discesa dionisiaca negli abissi senza regola che si nascondono nelle profondità e che ora nel suo nome riemergono nell’onda debordante di uno scudetto.

È un segnale che ci arriva da Napoli questa euforia che vorrebbe risarcire di sudditanze e soggezioni e va oltre gli schemi assennati e le categorie con cui nel tempo si è cercato di dare ragione di sussulti e vibrazioni che hanno lasciato una traccia profonda, dalla rivolta plebea che nel 1799 fa strage del riformismo civile alle Quattro giornate e alle barricate del 1944. Una città illuminista e irrazionale, l’ambiguità di Partenope, vita, amore e morte, eros e natura di una sirena, il “ventre” del degrado morale ritratto da Matlde Serao, la commedia di Eduardo, lo sguardo di scrittori come Ermanno Rea, Raffaele La Capria e Erri De Luca, la marionetta di Totò … fino al cinema di Rosi, Martone, Capuano e De Angelis, alla Gomorra di Roberto Saviano, L’amica geniale di Elena Ferrante e ai poliziotti di Maurizio De Giovanni.

Si dirà, che c’entra con lo scudetto? E perché con Napoli e non con Roma o Milano? Perché Napoli che vince è un ossimoro del nostro presente e nei gol di Osimhen ci sta la mano de Dios e il fascino che è anche un conto irrisolto di una Città che, altro che Occidente e Oriente, fa parte del Mondo. O’ sole mio e ‘a nuttata che, almeno nella felicità di una vittoria, è passata.

 

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