VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Vince Almodovar
VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Vince Almodovar

di Guido Barlozzetti

 

Vince Pedro Almodovar. Il Leone d’oro conferma le attese e va al regista spagnolo con The Room Next Door, mentre quello d’argento premia Vermiglio di Maura Delpero, piccolo grande film di profonda e rarefatta sensibilità umana. Non sorprende il verdetto della giuria presieduta da Isabelle Huppert, avvolta in una corolla bianca, con riconoscimenti ai film che sostanzialmente si sono imposti all’attenzione rispetto allo standard di una selezione comunque ricca e variegata e messa insieme con sperimentati e oculati dosaggi da Alberto Barbera.

Linea maestra quella dell’autorialità, che si presenti con la versione più aperta e popolare di Almodovar, con un melo trattenuto e composto, forte dell’interpretazione di Julianne Moore e Tilda Swinton, sul tema della libertà di decidere della propria vita, o con l’integralismo fino alla sperimentazione retro di April della georgiana Dea Kulumbegashvili che non teme di dilatare i piani sequenza, di frammentare il tessuto narrativo e scegliere angolazioni che non hanno nulla di canonico per portarci nella plumbea realtà dell’aborto clandestino e di scelte dolorose. E per questo prende un Premio Speciale della giuria. Almodovar è un maestro consacrato, un lungo percorso iniziato con intemperanze trasgressive e un’effervescenza vitale e irriverente, nel tempo ha abbassato i toni ma acquistato in profondità e nella capacità di entrare nei sentimenti e nelle contraddizioni della vita, qui sul crinale della morte.

Vermiglio è una luce, Delpero si aggira con grazia in un universo familiare con un patriarca, maestro di scuola coerente e poco espansivo, la moglie e tanti figli, una che nell’orizzonte della vita ha un matrimonio che però si rivelerà problematico è impossibile. Sullo sfondo la guerra e i giovani che vanno a morire. La migliore sceneggiatura va al solido e partecipe Aunda estoy aqui di Walter Salles, il Brasile anni Sessanta della dittatura degli scomparsi, uno di loro, un avvocato, inghiottito dalla repressione e intorno a lui la famiglia e soprattutto la moglie che non arretra di fronte al bisogno di scoprire la verità. Una tragedia vista del punto di vista di chi assiste stordito e sofferente e non cede nella ricerca della verità.

Le coppe intitolate al conte Volpi di Misurata che negli anni Trenta fu tra gli artefici creatori della Mostra. Migliore interpretazione femminile a Nicole Kidman per il ruolo infuocato e coraggioso di Babygirl di Halina Rejin, lei che non può ritirarlo per la morte della madre. Sul versante maschile vince un solido attore francese, Vincent Lindon, che in Jouer avec le feu deve confrontarsi duramente con un figlio ribelle e ostile.

Nella categoria Orizzonti, che ha una freschezza piena di sorprese che nella selezione ufficiale non trovano posto, il miglior film è Anul nou care n-a fost (The new year that never came) di Bogdan Mureșanu, una visione sinfonica, sei vite che si intrecciano sullo sfondo del momento storico della rivoluzione rumena e della caduta di Ceausescu. E qui arriva anche il premio per l’interpretazione maschile a Francesco Gheghi, Il figlio che in Familia di Francesco Constabile è preso in un confronto drammatico e violento con un padre che non si redime dalla propria istintualità.

La serata finale è stata condotta senza troppi sussulti da Sveva Alviti già madrina della Mostra. I rituali sono quelli inevitabili di una cerimonia conclusiva, con la successione dei premi, discorso finale del presidente della biennale Pietrangelo Buttafuoco. Appassionato, ha rivendicato il ruolo della sala buia insieme a quello del teatro e delle librerie. Ha ringraziato Alberto Barbera che applaudiva dalla platea e per concludere tra le tante lingue vive che si affollano a Venezia ne ha scelto una morta, il latino, con una citazione oraziana. Coelum, non animum mutant qui trans mare currunt, mutano il cielo non l’animo coloro che vanno per il mare.

 

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