VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Il cortocircuito dei social

Di Guido Barlozzetti

 

Una morte rialimenta la discussione sui social, sulle dinamiche e i comportamenti che sostanzialmente senza controllo vi dominano, con effetti di cui questo caso è una testimonianza drammatica. Parliamo di Giovanna Pedretti trovata morta fra le acque del Lambro, una ristoratrice di Sant'Angelo Lodigiano probabilmente suicida, dopo che un'ondata montante, uno shitstorm come si dice nel gergo, l'ha investita e esposta alla pubblica riprovazione, per usare un eufemismo, sui social. Sono passati alcuni giorni ma l'eco che questa bruttissima storia ha avuto sui media e sul dibattito che ne è seguito, richiede una riflessione che senza generalizzare non faccia cadere le contraddizioni e i motivi di profonda preoccupazione che sono emersi.

Tutto comincia con un post che Giovanna Pedretti trova sul sito della sua pizzeria, un giudizio vistosamente omofobo a cui risponde con durezza, invitando gli estensori, anonimi, come spesso accade sulla rete.

A quel punto, con un'intenzione debunking, e cioè di smascheramento , viene messo in dubbio il botta e risposta. Lo fa Selvaggia Lucarelli, giornalista particolarmente attenta alle vicende social e con lei Lorenzo Bigiarelli, chef che partecipa alla trasmissione-food meridiana di Antonella Clerici. Lo fa il Tg3 che manda un giornalista a intervistare Giovanna Pedretti, prima e dopo le riserve avanzate sui post. È così che parte un'ondata social che con la rudezza che si può immaginare investe la ristoratrice, fino al ritrovamento del cadavere.

Dopo di che un vortice di polemiche, i familiari che attaccano la gogna mediatica che ha travolto Pedretti, i social che fiutando l'aria fanno presto ad attaccare chi ha indagato sulla veridicità dell'accaduto, una parte della politica che attacca un modo di fare informazione, in particolare il Tg3, e poi il consueto coccodrillismo in cui le buone intenzioni si intrecciano al fatalismo e al domani si ricomincia come-se-niente-fosse-stato.

Ora, si può e si deve discutere, e i social e chi ne parla lo fanno spesso con un senso relativo della responsabilità, tagliando giudizi, con il cinismo ipocrita e miserando degli haters di professione. E però la morte di una persona che, come la si voglia raccontare questo storia, è stata provocata dall'urto sprezzante dei social su una vita, è un limite invalicabile. E dunque, prima di parlare, è doveroso fare un passo indietro, così come bisognerebbe farlo anche quando, nel presenzialismo dominante, si vergano sentenze senza appello.

Dovremmo essere tutti più consapevoli del cambiamento ormai strutturale che riguarda un'informazione che è sempre meno sotto il controllo dei tradizionali addetti ai lavori (per carità, anche loro non del tutto innocenti) e si sta spostando nel flusso incontrollabile dei social dove - è certamente una virtù - tutti possono partecipare e dire la loro - e però è anche un vizio devastante perché chiunque protetto dall'anonimato può rigurgitare tutto quello che una pancia malmostosa gli manda su.

Siamo cioè sul confine indistinto e difficilmente discernibile in cui le opinioni trionfano e le dita sulla tastiera vanno a piacimento per cui le fake news possono imporsi a dispetto di quella obiettività che dei media storici doveva e deve ancora essere la bussola su cui orientarsi. Preistoria? Un residuo arcaico di un'epoca dei media?

La vicenda tragica della ristoratrice è la terribile dimostrazione di un cortocircuito di cui siamo, forse, tutti coscienti, non sempre traendone le conseguenze. Vale a dire che rivela la faglia tellurica su cui possono scontarsi il digitale della comunicazione e l'analogico della vita.

Si scrive con facilità sui social, si sparano anatemi brutali, si trinciano giudizi, si minaccia il peggio del peggio e poi un cadavere viene a ricordare che le parole, la loro virtualità indifferente e volgare, possono trafiggere e distruggere.

E qui si dovrebbe parlare della necessità di un controllo, ma come? E poi chi dovrebbe farsene carico e con quale legittimazione? Un algoritmo che processa i flussi e elimina quelli incompatibili? E in base a quale parametro, a parte il fatto che non sarebbe l'algoritmo a deciderlo ma chi lo governa? Per non parlare della questione dell'anonimato e della libertà d'espressione quando confina con la calunnia e il turpiloquio più becero. E anche dei players globali che sfuggono alle legislazioni nazionali, forti di un cosmopolitismo comodo, capillare e sfuggente.

Sembrano storie lontane, ma il dramma della signora Pedretti, quale che ne sia la dinamica, rimanda alla vicenda di Chiara Ferragni e all'ambiguità truffaldina del pandoro natalizio che l'influencer vendeva con la promessa della beneficienza.

Stiamo parlando di un'influencer e cioè dell'autorevolezza carismatica che nei social vengono assumere certe figure. L'abilità del marketing e la strategia-glamour di un'immagine fanno sì che quelle voci si carichino di un potere di persuasione potente. Così, nasce un altro circuito per cui la parola seducente genera affari e un mercato personalizzato che, in questo caso, si è inceppato fino a mettere in forse il regno dorato dell'influencer. Di passaggio, anche questa storia degli/delle influencer qualche riflessione dovrebbe pure produrla, senza essere moralisti, però questa equazione diretta e senza controllo tra immagine e profitto, cela un algoritmo cinico e sfrontato.

E comunque tornando alle due vicende, da un parte, parole gratuite che possono ferire fino a decidere della vita di una persona, dall'altra parole che fin troppo autocompiaciute e piene di sé fanno un passo più lungo della gamba, sottovalutano il patto di fedeltà che lega agli utenti e dilapidano il patrimonio - tutto virtuale - di credibilità accumulato negli anni.

I social possono essere un paradiso narcisistico ma anche un inferno in cui i demoni sono gli stessi angeli che, un attimo prima o al piano di sopra, celebrano e mitizzano. Quel corpo tra le acque del Lambro ci ricorda che la vita non è un gioco social e che il gioco non può continuare così.

 

 

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