Papa Francesco, spingendo i battenti della Porta Santa in San Pietro, ha inaugurato il Giubileo e l’Anno Santo. La potenza simbolica di un gesto riassume il significato di un evento che nella continuità del tempo introduce una discontinuità. Per il credente l’occasione di confronto con la sacralità della vita e con Dio in un percorso di riconciliazione spirituale. Qui e ora, in terra, il Giubileo è l’appuntamento straordinario in cui il cristiano sottoponendosi a una penitenza e aprendosi a una conversione radicale può emendarsi del peccato e rinascere a una nuova purezza di vita.
È un accadimento canonico, il Giubileo si celebra ogni venticinque anni, a parte le edizioni speciali come quella che avrà luogo nel 2033 in coincidenza con i 20 secoli dalla passione e risurrezione di Cristo.
Quando si parla di una religione ci si trova su un bordo in cui la dimensione storica si va a toccare con quella salvifica dell’aldilà, dove la contingenza e la finitezza trapassano nell’eternità. Con il Giubileo questo aspetto ritorna nell’idea di un Anno Santo che, sottratto alla quotidianità, si offre al credente per un’esperienza di salvezza che, qui, in questo mondo, anticipa il Giudizio che verrà. E dunque tutto viene a caricarsi di un significato simbolico di gesti, percorsi, parole, a cominciare dall’attraversamento della Porta che sulle orme del Pontefice i fedeli sono chiamati a fare.
L’inizio ufficiale di questo annuncio giubilare si deve a Bonifacio VIII con una Bolla del 22 febbraio del 1300. Riprendeva un moto di fede che, esaltato dall’approssimarsi dalla scadenza secolare, il 24 dicembre del 1299 riempì San Pietro di un popolo che chiedeva un’indulgenza plenaria.
E sarà anche il caso di ricordare come questa esigenza, all’incrocio tra una domanda popolare e una risposta istituzionale, prendesse forma nella celebrazione di un evento che ha origini nei tempi biblici, in particolare in un giubileo ebraico che riguardava il ciclo di sfruttamento della terra e il riequilibrio delle proprietà e delle condizioni sociali.
Un evento religioso, dunque, che inevitabilmente avrà anche effetti assai profani. Roma si prepara ad accogliere 30/35 milioni di pellegrini, un impatto per cui la città ha cercato di prepararsi con la realizzazione della piazza Pia all’inizio di Via della Conciliazione e un piano di restauri e di riorganizzazione viaria. Né può essere sottovalutato l’effetto che questo moto imponente avrà sull’economia della città, soprattutto sul comparto dell’accoglienza turistica e della ristorazione. Anche questo un aspetto delicato, come accade quando lo spirituale va a toccarsi con il livello assai più prosaico degli affari, tanto più in una realtà come quella di Roma in cui l’alto e il basso si legano l’uno all’altro, la Cupola di San Pietro e la Suburra, la Caput Mundi e i Sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli e Romanzo criminale.
E allora quale significato può avere questo Giubileo, al di là di una retorica celebrativa e di un appuntamento confessionale?
Intanto e in generale, mi pare un’occasione per riflettere su una condizione che riguarda la nostra attualità, sempre meno capace di percepire la profondità del tempo e ripiegata sul qui-e-ora e su un flusso rumoroso e tumultuoso di parole e immagini che si susseguono indifferenti. Il Giubileo da questo punto di vista può rappresentare una differenza, l’occasione per entrare un tempo altro che, al di là della ritualità istituzionale, ciascuno può vivere e esplorare in se stesso e con se stesso. Il Jobel, il corno di montone che per gli Ebrei annunciava il loro giubileo, può tornare a risuonare nella coscienza di ciascuno. E, ancora, può espandersi al di fuori del cerchio della religione cristiana, il cattolicesimo in particolare. Può cioè riverberare la sua speranza su tutto lo scenario di un mondo come sappiamo segnato da contraddizioni profonde e drammatiche di cui le guerre, gli attentati, le violenze, i soprusi sono la più tremenda delle manifestazioni.
È in questo senso che si dovrebbe anche sottrarre il Giubileo a una sorta di formalità tutta esteriore e coglierne invece la Domanda. Una Domanda che, nella forma di un grande rito della Cristianità, si pone e ci pone sul crinale del Bene e del Male, della Colpa e della Penitenza, e dunque della responsabilità etica a cui nessuno, neanche il più turpe degli uomini, neanche il femminicida, il terrorista o il mafioso, neanche il cuore più indurito dalle tortuosità della vita alla fine possono sottrarsi.