VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Gli ultimi della terra

di Guido Barlozzetti

 

Ha parlato di “leggerezza” il titolare dell’azienda agricola nella quale ha perso la vita Satnam Singh, indiano, 31 anni, che vi lavorava per quattro euro all’ora. Ha parlato di leggerezza, che ricorda quella di Italo Calvino, un aereo distacco dalle urgenze della vita e dalla sua pesantezza, quando qui è in gioco la vita di un uomo e il trattamento disumano a cui è stato sottoposto, sia nelle condizioni di lavoro, sia nel modo in cui è stato trattato dopo l’incidente che gli ha reciso un braccio. Lo hanno buttato davanti a casa, il braccio finito in una cassetta, abbandonato lì come si fa con un sacco di immondizia. Nemmeno all’ospedale hanno avuto il coraggio di portarlo dove forse ancora qualche speranza poteva averla.

Sembra che il responsabile di questa esemplare prova di umanità abbia detto che Satnam non era in regola e quindi non fosse proprio il caso di chiamare soccorsi là dove si era verificata la tragedia.

Ecco l’intollerabile inferno che infetta non solo pezzi di economia, ma la coscienza stessa del nostro Paese. Quale responsabilità avverte chi ha fatto quel gesto nei confronti di questo figlio di un popolo di disgraziati dimenticati, senza Dio e anche senza Stato? E quanto conta la vita di questi “uno nessuno e centomila” che ogni giorno cadono nelle grinfie di caporali, li chiamiamo così, che hanno cancellato ogni sentimento in nome di una sordida pratica di sfruttamento dove solo la coazione ad accettare le condizioni più degradate perché in qualche modo bisogna sopravvivere. Li averte mai sentiti parlare i caporali? Provate a cercare qualche inchiesta giornalistica che, con le difficoltà che si possono immaginare è andata lì sul campo, e ne avrete un saggio.

Satnam non è era solo, dalle parti di Latina, in quell’area del Lazio così prosperosa dal punto di vista agricolo ci sono da venti a trentamila come lui, una comunità di invisibili, senza nessuna tutela, in balia di questa giungla dove in nome di un guadagno si può spolpare fino all’estremo quella che Marx chiamava la forza lavoro e, se qualcosa va storto, si cerca di cancellare ogni traccia, di rimuovere il corpo stesso di chi è finito nell’ingranaggio perverso e criminale. Dove per ingranaggio s’intende non solo la macchina rispetto alla quale il titolare dell’azienda ha l’impudenza di parlare di leggerezza, appunto, da parte del lavoratore, ma il sistema che non riguarda solo quell’area ma tanti territori e culture rinomate delle quali ci fregiamo con orgoglio, emblemi straordinari del Belpaese e della sua immagine nel mondo.

La morte di Satnam adesso ha scoperchiato un orrore e il rischio è che per qualche giorno se ne parli, si dia spazio all’indignazione, si ascolti la voce della moglie che ricorda il lungo viaggio che li ha portati in Italia, le attese, le speranze, il buco nero di indifferenza e solitudine nel quale erano caduti, le poche mani che si sono protese verso di loro. Poi, tornerà la routine, quando invece sarebbe necessaria una mobilitazione potente e coesa, politica e sociale.

Il ministro dell’agricoltura ha parlato di criminali, come in qualunque altro settore dell’economia e della vita, e ha invitato a non criminalizzare un anello importante della filiera, giusto, ma da quanto tempo inchieste e reportage ci dicono che non stiamo parlando di eccezioni ma di un tessuto radicato, dove l’omertà e il ricatto sono sovrani e dove il primo passo che riguarda la raccolta dei prodotti della terra si svolge in condizioni in cui parlare di schiavitù non è certamente un’esagerazione.

Accade infatti qualcosa che riguarda la nostra condizione di cittadini distratti e dediti alle proprie quotidiane incombenze, semplicemente non vediamo e quindi non sappiamo. E se anche sapessimo, quei campi di un lavoro che è brutale sofferenza sono lontani, distanti anni luce dalle nostre tavole, su cui finiscono proprio i prodotti che vengono da quel girone crudele.

Se una colpa ha avuto Satnam con il suo incidente è stata quella di avere strappato il sipario e aver rivelato il dietro le quinte terribile. Eppure, viviamo in una democrazia con una Costituzione che all’articolo uno recita che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”( di passaggio mi limito a osservare che è un po’ di tempo che abbiamo cominciato a ritornare agli articoli della Carta, leggerli e agitarli quasi che fosse il caso di riprenderne il senso). Vale per tutti? O c’è un mondo nascosto, di alieni invisibili che non hanno diritto di cittadinanza e possono crepare per la nostra salsa di pomodoro?

 

Torna alla Homepage di Rai Easy Web