VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Tutti a casa!

di Guido Barlozzetti

 

Si è conclusa amaramente l’avventura dell’Italia ai Campionati europei. Tutti a casa!

Sul campo di Berlino sono tramontate definitivamente le speranze di andare avanti nella competizione di cui eravamo i campioni uscenti. Uso il noi perché quando parliamo di calcio parliamo dello sport nazionale quello che da sempre riunisce gli Italiani, li fa sentire tali, li riunisce in una comunità, ancorché di tifosi. Il calcio svolge una funzione sociale, culturale e politica in senso lato. Per un verso, dunque, è un pilastro dell’immaginario collettivo, per l’altro è la cartina al tornasole di un sistema di cui la nazionale rappresenta un vertice che ha però radici in un contesto esteso e articolato di campionati, società, giocatori e imprese.

Dunque, la delusione per quello che è accaduto non è soltanto contingente, un risultato sportivo negativo, ci sta, ma dice di un malessere profondo.

La Svizzera, che non è certamente una delle massime potenze mondiali del pallone, ci ha rifilato due gol e ci ha staccato il biglietto di ritorno.

Eravamo arrivati baldanzosi, sulla scia di una nuova gestione, quella del ct Spalletti, dopo l’improvviso blackout di Mancini volato verso le monumentali offerte degli Arabi. Ma si è visto da subito, fin dalla prima partita con l’Albania, che l’aria non era propizia. Basti pensare che abbiamo preso un gol dopo qualche secondo, abbiamo avuto sì una reazione, abbiamo pareggiato e vinto e tuttavia senza dare l’impressione di una macchina da guerra, tutt’altro.

La conferma, purtroppo spietata, è arrivata nel confronto con la Spagna, una squadra estremamente attrezzata, con un gioco corale e armonico e soprattutto campioni in ogni reparto, perché il calcio alla fine è uno sport semplice come un teorema di matematica, vince chi ha i piedi buoni, chi addomestica la palla meglio dell’avversario, chi lo fa con velocità e destrezza mentre gli altri stanno a guardare. Poi, certo, ci sono le tattiche, le strategie, i moduli, ma se usciamo con una sensazione da queste quattro partite giocate dall’Italia è proprio la constatazione di una povertà tecnica della squadra, oltreché di una fragilità sul piano emotivo e caratteriale.

La Spagna ci ha dato una lezione memorabile ed è per puro caso che abbiamo perso soltanto per un autogol, grazie anche alle prodezze del portiere Donnarumma, forse l’unico che si è salvato dallo sfacelo a cui abbiamo assistito.

Poi è arrivata la Croazia di Modrić e Perisić ma lo spettacolo non è cambiato, nonostante le attese e anche qualche rassicurazione che arrivava dall’ambiente, se non altro per cercare di dare uno stimolo a una squadra rattrappita su se stessa, con poche certezze e certamente involuta sul piano psicologico.

Anche in questo caso abbiamo subito un gol e ci siamo salvati veramente sull’estremo della cosiddetta zona Cesarini, per uno spunto isolato che ha offerto una palla a Zaccagni: un tiro a girare ci ha dato il pareggio e dunque ha eliminato i croati e mandato noi agli ottavi di finale.

Quello che è successo a questo punto lo sappiamo, la Svizzera ha chiuso il conto.

Una conclusione amara che conferma la crisi di una Nazionale che per ben due volte non è riuscita a qualificarsi alle ultime edizioni dei campionati mondiali e che adesso si trova ad attraversare una sorta di deserto, considerando che incombono di qualificazioni per il mondiale in Messico nel 2026.

Abbiamo alle spalle una tradizione gloriosa, con quattro campionati mondiali vinti, sia pure, va ricordato con debacle spesso clamorose – la Corea nel 1955 su tutte - e però non basta più. Il calcio è evoluto nel mondo, è diventato uno spettacolo globale con investitori potenti e l’Italia è rimasta indietro. Arranca, ha riempito le squadre di stranieri, spesso tutt’altro che esaltanti, e soprattutto ha trascurato i vivai, che sono la linfa che dovrebbe alimentare tutto il sistema grazie a un rapporto vitale e organico con la società e soprattutto con il mondo dei giovani.

C’è qualcosa che non funziona a partire dalla base del movimento, nelle società dilettantistiche, del modo di creare attenzione, gestire e allenare. E chiaro che i campioni non nascono sotto il cavolo però è anche vero che se non si crea un tessuto esteso, largo, fatto di campi dove si affrontano i ragazzi con il piacere dello sport prima che di un eccesso di agonismo, sostenuto da allenatori motivati e competenti, si scivola indietro e si rischia di non andare da nessuna parte.

Non parliamo poi dello sport professionistico che ha accumulato debiti imponenti, guidato – non si tratta certo di generalizzare – con un eccesso di personalismi, furbizie, un piccolo cabotaggio di affari e affarucci, tutti i pronti ad avventarsi sulla torta dei diritti televisivi.

Adesso ci si è messa pure una controversia fra il mondo del calcio e il governo che vorrebbe sottoporre a controllo le dissestate finanze del sistema, che però reagisce rivendicando l’autonomia dello sport.

Anche questo comunque è un segno delle difficoltà esistenti e della necessità di affrontare in modo strutturale lo stato delle cose e provare ad invertire il trend alla mediocrità, alla marginalità in campo internazionale e soprattutto al logoramento di un patrimonio che non è solo sportivo ma, come si ricordava, è parte costitutiva della quotidianità di tanti e dunque della società.

 

Torna alla Homepage di Rai Easy Web