VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Arrestato Matteo Messina Denaro

Di Guido Barlozzetti

 

I Carabinieri del Ros di Palermo hanno arrestato nella clinica Maddalena del capoluogo, dove si faceva curare per un tumore, il trentennale latitante della mafia Matteo Messina Denaro.
È una buona notizia per l'Italia, per la democrazia, per la convivenza civile.

Aveva un documento di identità intestato a Angelo Bonafede di Campobello di Mazara. Portato prima in una caserma dell'Arma e poi all'aeroporto di Boccadifalco, Denaro è stato poi trasferito in una struttura carceraria di massima sicurezza.

Plaudono tutti, il Presidente della Repubblica, la premier Meloni, i presidenti delle Camere, tutti sottolineano la vittoria dello Stato e il colpo inferto alla mafia. La giornata dell'informazione, da quando nella mattina si è diffusa la notizia è stata dominata dai commenti, alla radio e in televisione. E le domanda fondamentale adesso è: cosa significa questo arresto? Cosa vuol dire per il Paese e per la criminalità organizzata?
La risposta non può che partire dai dati di fatto.

Intanto, chi è Matteo Messina denaro? Nato a Castelvetrano nel 1962, sappiamo di una sua iniziazione al delitto che potrebbe essere addirittura avvenuta in età adolescenziale, ad opera del padre, Francesco detto Don Ciccio, ufficialmente fattore in realtà mafioso del mandamento di Castelvetrano. Certamente partecipa all'uccisione di quattro affiliati della famiglia di Alcamo. È il padre che lo affida a Totò Riina, al vertice dell'organizzazione con la vittoria senza risparmio di sangue dei Corleonesi, che gli insegna quello che serve per entrare nel sistema e scalarne i vertici al punto che lo stesso superboss, intercettato nel 2013, si lamenterà delle sue iniziative (i pali eolici…) e della sua indipendenza sfuggente a qualunque controllo.

Tanti sono i delitti che gli vengono attribuiti, per averli compiuti direttamente o per avervi partecipato, a cominciare dalle stragi del '92, quella di Capaci dove morì il giudice Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, e quella di via d'Amelio che costò la vita al giudice Borsellino e alla sua scorta. E ancora gli attentati di Firenze, Milano e Roma che sconvolsero l'estate italiana nel 1993. Terribile l'assassinio del piccolo Giuseppe di Matteo figlio del mafioso pentito Santino, ucciso e il corpo fatto sciogliere nell'acido. Spietato quello di un albergatore che si era lamentato di una lavorante austriaca con cui si era fidanzato.

In effetti, Denaro dopo l'arresto di Riina si lega al capo-dei-capi Bernardo Provenzano e diventa via via determinante in quella "mafia sommersa" che sostituisce quella stragista responsabile della stagione dei delitti eccellenti e degli attentati che la sconvolsero. In questo senso, appare come una cinghia di trasmissione, un ponte nella mutazione profonda di Cosa Nostra. Tutto questo, in assoluta latitanza, da quando nell'estate del '93 comunicò alla fidanzata di non cercarlo più: "sentirai parlare di me, mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità". Trent'anni in cui diventa un fantasma di cui si perdono anche i connotati e che sfugge a qualunque tentativo di ritrovarlo. Una durata che qualche domanda la suscita.

Da qui a capire quanto sia stato il suo potere se sia stato un vertice assoluto o abbia condiviso una responsabilità rilevante all'interno di un'organizzazione complessa e difficile da dire. "Era un capo operativo ma la leadership di Cosa Nostra non era sua esclusiva", ha detto il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, e poi aveva un ruolo di garanzia importante per la gestione degli affari". Dunque, molte cose restano da capire.

Sicuramente era diventato un simbolo e dunque il suo arresto non potrà non avere riflessi su quel piano, anche se è plausibile pensare che l'organizzazione abbia la capacità che serve per ricostituire un assetto.
Altrettanto plausibile che, semmai Denaro decidesse di collaborare - e sarebbe una novità se riferita ai comportamenti tenuti finora dai boss arrestati - potrebbe rispondere a tante domande sulla nebulosa ambigua che ancora copre le azioni mafiose e le responsabilità di quegli anni.

Tanti sono i misteri irrisolti che non riguardano soltanto le stanze oscure della mafia, ma anche pezzi dello Stato, che hanno collaborato, coperto e depistato. E in parte un mistero sono, come detto, anche questi trenta anni di latitanza che non possono essere spiegati senza l'efficienza di una larga rete di protezione.

A tante domande potrebbe rispondere Matteo Messina Denaro ma, a prescindere dal suo comportamento, molto dipenderà da come verrà considerato questo arresto, se sarà sbandierato come la fine della mafia o, invece, diventerà il punto di partenza per un'azione ancor più determinata, trasparente, in grado di fugare ogni dubbio sulla determinazione con cui lo Stato affronta la potenza malavitosa.

"Una grande soddisfazione perché è un risultato straordinario - ha detto il comandante dei Carabinieri Teo Luzi - Messina Denaro era un personaggio di primissimo piano operativo, ma anche da un punto di vista simbolico perché è stato uno dei grandi protagonisti dell'attacco allo Stato con le stragi. Un risultato reso possibile dalla determinazione e dal metodo utilizzato. Determinazione perché per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura, soprattutto in questi ultimi anni con un grandissimo impiego di personale e di risorse strumentali".
Lo stesso generale fa dunque riferimento a una svolta negli ultimi anni, anche grazie al metodo messo a punto nella lotta contro il terrorismo e la mafia da Carlo Alberto dalla Chiesa, e cioè la raccolta certosina dei dati, l'incrocio con le banche dati dello Stato, le intercettazioni telefoniche.

In effetti, per quello che è dato sapere, la cattura è il risultato di un'operazione durata nel tempo che ha via via reciso la rete di contatti attorno al ricercato, in particolare con l'arresto di quasi tutti familiari, con il blocco del sistema di comunicazione basato sui pizzini e, infine, con un'indagine che ha preso il via quando si è venuto a sapere delle malattie per cui Denaro veniva curato.
Proprio queste ricerche sulle banche dati dei malati hanno portato a identificare verosimilmente in Andrea Bonafede l'alias dietro il quale si nascondeva e dunque a predisporre il blitz che ieri mattina è scattato nella clinica Maddalena di Palermo.

Non è ancora chiaro se abbia almeno tentato di allontanarsi. Alla richiesta di un carabiniere di fornire le sue generalità, ha semplicemente risposto con il nome, Matteo Messina Denaro.
Ancora una volta, si constata come i grandi capi della mafia non abbiano abbandonato la loro terra, era successo per Riina e Provenzano, è successo per Denaro, a dispetto delle voci che negli anni lo volevano ora in Spagna ora in Albania ora in chissà quale altro paese.

Lo hanno trovato "in salute e in buone condizioni economiche", le cronache sottolineano anche un orologio di 35.000 euro a conferma di un elevato tenore di vita.
Le uniche immagini che abbiamo visto di lui sono quelle in cui esce dalla caserma scortato da due carabinieri, sale su un furgone nero in cui lo sorvegliano uomini dei reparti speciali dell'Arma.

Al momento dell'arresto insieme all'euforia di chi ha partecipato all'operazione ci sono stati anche applausi da parte di cittadini palermitani. Dicono che, anche se la mafia non è certamente scomparsa con Denaro in manette, qualcosa è cambiato.

 

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