Maria Callas e Giacomo Leopardi insieme sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia. Due storie biografiche la inaugurano con il film di Pablo Larrain su Maria Callas e la miniserie diretta da Sergio Rubini sul poeta di Recanati.
Sembrerebbero due voci apparentemente lontane e invece le unisce una modernità problematica e generosa che rende universali i versi di un poeta e un canto che trafigge il cuore.
Abbiamo bisogno di storie e non sarà un caso se sempre più spesso si vanno a raccontare personalità che dicono della difficoltà di vivere il proprio tempo e della scissione fra i sentimenti e la realtà. Callas e Leopardi sono esemplari di un disagio e di una medesima, sofferente, pulsione attraverso che ci ha donato la meraviglia della poesia e del canto.
Non è la prima volta che Larrain porta queste vite nel cinema, lo ha fatto con Neruda, Jackie tra Kennedy e Onassis e Lady D in Spencer. Con Maria conferma un’attenzione al femminile che, più del maschile, diventa un controluce dello scarto tra il desiderio, il bisogno d’amore e di essere riconosciuti e la superficialità del mondo circostante e quindi anche degli interessi, delle ipocrisie e delle convenienze in cui quel bisogno finisce per affondare e smarrirsi.
Vediamo gli ultimi giorni di Maria, non canta ormai da anni, ma non per questo ha rinunciato, vive a Parigi con un maggiordomo fedele, Ferruccio/Pierfrancesco Favino e una domestica Bruna/Alba Rohrwacher (che non sia la paradossale metafora del nostro ruolo accessorio nel divismo internazionale?). E il film diventa affascinante nel portarci sul bordo fra la realtà e l’immaginazione, il sogno e la quotidianità. Così, sul filo di un’intervista non si sa quanto reale si intrecciano i ricordi pubblici e privati, l’incontro con Onassis, lei giovanissima in Grecia alle presi con corpulenti soldati tedeschi, un corpo abbondante prima che la linea non diventasse un’ossessione, il presidente Kennedy in una colazione senza sconti, e poi le arie e gli applausi scroscianti che rivive anche camminando per Parigi (un fantastico Vissi d’arte, vissi d’amore con orchestra en plein air e uno stuolo di geishe con lanterna attorno a lei), e gli ultimi giorni parigini, le prove in cui si rimette in gioco, non per gli altri ma per se stessa, i caffè in cui la riconoscono e lei perfino sprezzante rivendica se stessa di contro a una curiosità invadente e grossolana… È una Callas malinconica, che ha consumato la vita e ne è stata consumata. Si rifugia nell’illusione delle pillole per esorcizzare il tempo che passa, chiusa in un castello orgoglioso che lascia trasparire ferite inconciliate e dolorose.
Anche Leopardi porta i segni della sua vita, breve. Sulla sceneggiatura sua, di Angelo Pasquini e Carla Cavalluzzi, Sergio Rubini racconta un giovane che vorrebbe abbeverarsi della vita, appagare la sua sete debordante di amore, animato da uno slancio patriottico che però ha poco a che fare con i programmi dei protagonisti risorgimentali. Siamo di fronte a un Giacomo che contesta, rifiuta la clausura della famiglia e ogni schieramento che sia un compromesso con la banalità e la normalità, e vive il dissidio tra la freddezza impassibile della ragione e il fuoco di un sentimento.
È così che la biografia del poeta dell’infinto (è il sottotitolo delle serie) diventa un melodramma con un ménage a trois, lui che s’invaghisce a Firenze di Fanny Targioni Tozzetti che però s’innamora dell’amico prediletto, quell’Antonio Ranieri che lo accompagna fino alla fine. Assistiamo alla storia di un desiderio che non incontra la felicità e al ritratto di un’esistenzialista portato dai sentimenti e sul bordo del nulla.
Insomma, una bella sorpresa per chi lo ha studiato al liceo e se lo ricorda confezionato nella gabbia di certi stereotipi che prosciugavano tensioni e delle contraddizioni con cui questo Giacomo si presenta nella nostra attualità. Ai giovani soprattutto che vi potrebbero scoprire un coetaneo che ne anticipa le speranze e un duro, indomito, confronto con il mondo.
Interpreta questa sorta di Amadeus letterario Leonardo Maltese e lo fa con la freschezza naif che il personaggio richiede, con lui Alessio Boni e Valentina Cervi, i genitori, Cristiano Caccamo/Ranieri, Giusy Buscemi/Fanny, Fausto Russo Alesi/Pietro Giordani e Alessandro Preziosi, il sacerdote che con Ranieri incornicia il racconto e non vorrebbe dare sepoltura in chiesa al poeta. Il tutto in una miniserie in due serate, qualità e missione di servizio pubblico per Rai Fiction che l’ha coprodotta con Ibc movie di Beppe Caschetto.