Di Sandra Milo restano nella memoria il sorriso ammiccante e l’andatura sinuosa di quando arriva in treno a Fiuggi e poi si presenta al regista in crisi di 8½, e il suo dondolare sull’altalena di un circo in Giulietta degli spiriti, entrambi di Federico Fellini. Si potrebbero aggiungere Lolita di Adua e le compagne e Pina ne La visita di Antonio Pietrangeli. Soprattutto, resta l’immagine di una donna capace di giocare con se stessa, di stare con ironia dentro il personaggio di sé e di muoversi con grazia seducente sul bordo fra la realtà e l’apparenza.
Dico dell’immagine, perché alla fine con questa abbiamo a che fare, anche con Sandra Milo che ha vissuto novant’anni da protagonista del cinema italiano, nel tempo in cui Grandi registi vincevano gli Oscar avevano una fama mondiale. In un cinema dominato dagli uomini, basta pensare al quartetto di Gassman, Tognazzi, Mastroianni e Sordi, è una delle poche imporsi con Sofia Loren, Gina Lollobrigida e Monica Vitti, e a portare nel racconto un femminile che non sia stereotipato e assoggettato quello maschile. con la consapevolezza di un’identità che ha superato il tempo.
Quando inizia per il tempo delle maggiorate, petto-vita-fianchi, è sicuramente quello dei modello che l’accompagna anche nell’esordio, Lo scapolo con Alberto Sordi (non fu facile: “Sordi era un accentratore terribile e si considerava nei pressi di Dio. Per lui al mondo c’era soltanto Sordi. Sordi e basta”).
Ma poi la sua carriera vira, incontra registri ambiziosi e ispirati, ha l’intuito e l’esuberanza di un corpo sorridente e stupito di sé fino all’ironia e quindi entra in un cinema diverso dalla routine quotidiana delle commedie. Interpreta Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini, Adua e le compagne di Antonio Pietrangeli e poi l’irrisolto Vanina Vanini ancora di Rossellini che naufraga alla Mostra di Venezia (“Dopo il disastro di Venezia, la distribuzione di Io la conoscevo bene disse a Pietrangeli "la Milo non la vogliamo", e scelsero la Sandrelli. Ma era opinabile. Oggi a New York esiste un club che si chiama Vanina Vanini. Scorsese ha detto che è uno dei film più belli di Rossellini”).
Sono film dove mette in gioco la sua immagine di svampita disincantata, ed entra nel mondo magico e onirico di Federico Fellini.
Diventa l’immagine di un sogno al femminile, dà vita a un fantasma che attraversa Otto e mezzo e, moltiplicandosi, Giulietta degli spiriti. Da una parte, l’amante, Carla, con la veletta e il cappottino, che s’insinua nei dubbi di un regista (Mastroianni) che non sa cosa fare del suo film, dall’altra, Susy la femme fatale irresistibile, Iris la ballerina con cui scappò il nonno e Fanny che fanno da controcanto gioioso ai dubbi e allo smarrimento di Giulietta Masina. Sulla scena e fuori perché con Federico Sandra diventa Sandrocchia e passa dalla fantasia cinematografica alla realtà di una sintonia appassionata che lei interrompe quando si rende conto che lui è incapace di uscire dal bozzolo del suo immaginario. Almeno così racconta nel 1982 in Caro Federico.
Fellini l’avrebbe voluta anche in Amarcord, chi meglio di lei nella parte de la Gradisca, ma non se ne fece nulla e il ruolo andò a Magali Noël. Poi, uscita dal sogno di Federico, un altro film con Pietrangeli, La visita, in cui dà volto alla solitudine di Pina che s’incontra con quella di Adolfo (François Perier).
Assunta a diva, Sandra Milo è entrata nell’immaginario quotidiano degli italiani, una compagna di strada, una sorta di fatina di prorompente bellezza e al tempo stesso con il candore e l’ingenuità per volare al di sopra dei conformismi, dei moralismi e dei pregiudizi. In questo, coerente con se stessa, senza cedere alle polemiche e preoccuparsi dei rilievi che la mettevano in discussione, forte nell’affrontare non solo le scene del cinema ma anche quelle di una vita che fu complessa.
Figlia di un padre calabrese e di una madre toscana, nata a Tunisi, un matrimonio a 15 anni con un marchese che durò 21 giorni, 11 anni con il produttore Moris Ergas in una relazione che fu tumultuosa, le dette la figlia Deborah e la portò a lasciare il set nel 1967, per poi unirsi con Ottavio Lollis e avere altri due figli, Azzurra e Ciro. E ancora la rivendicata adesione al Partito Socialista, l’amicizia con Pietro Nenni, la vicinanza con Bettino Craxi. “Era un uomo meraviglioso - ebbe a dire - che amava il suo Paese, una persona molto semplice”.
E sul set, in un ambiente tutto al maschile? “Le molestie sulle donne nel mondo del cinema? Ci sono sempre state. E prima era anche peggio di oggi. [...] Ci provavano sempre e tutti. Qualche volta ci stavo e qualche volta dicevo di no: funzionava così. [...] Una donna può sempre dire di no. Se non lo fa spesso è perché le fa piacere”.
Lasciato il cinema, Sandra non rinunciò comunque al mondo dello spettacolo e la televisione diventò un salotto accogliente nel quale baloccarsi con i bambini in Piccoli Fans o divagare nei pomeriggi di Cari genitori o L’amore è una cosa meravigliosa, per sempre legato alla telefonata che le annuncia del figlio Ciro all’ospedale e lei che lascia in lacrime lo studio gridandone il nome.
E poi, sempre con spensierato coraggio, i passaggi nei reality da L’isola dei famosi al Grande fratello Vip. Da ultimo l’omaggio di Gabriele Salvatores in Happy Family che ne fa la madre del protagonista Fabio De Luigi.
Nell’ultima intervista diceva di amare i figli, perfino più dei nipoti, “vorrei morire dopo di loro, gli terrei la mano, non avere paura, entri in un’altra vita, bellissima, poi io vi raggiungo”. E aggiungeva che non si muore mai, si vive in un altro modo, pieno d’amore.
Una vita intensa, con scelte coraggiose e controcorrente, segno di una libertà che poi è forse il vero lascito questa donna, fiera di sé, dei suoi sentimenti e delle sue contraddizioni, libera e responsabile delle sue scelte. C’era un’anima dentro Sandra Milo così profonda da potersi permettere la più superficiale e graziosa levità nell’offrirsi al pubblico. Lo sguardo, anche quello più concupiscente, con la maestria di chi sa quanto potente, magnetico e ingannevole può essere il gioco dell’eros.