VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

I Leoni un poco stanchi di Venezia

Di Guido Barlozzetti

 

I Leoni hanno ruggito, tutto sommato secondo le aspettative. La giuria presieduta dal regista Damien Chazelle ha attribuito il Leone d’oro al predestinato e annunciato Poor Things di Yorgos Lanthimos, il Gran Premio al rarefatto e ecologico Il male non esiste di Ryosuke Hamaguchi, il Leone d’argento per la regia a Matteo Garrone per Io capitano, un Premio speciale a Green Borders di Agniezka Holland, il riconoscimento per la sceneggiatura a El Conde di Pablo Larraìn, mentre la Coppa Volpi per le interpretazioni è andata a Cailee Spaeny (Priscilla) e a Peter Sarsgaard (Memory), infine il Premio Mastroianni per un giovane attore emergente a Seydou Sarr per Io capitano che così raddoppia.

Vince un film sorprendente, una black comedy carica di quella ironia creativa che si chiede in una Mostra Internazionale d’arte cinematografica. La conferma di un talento, Lanthimos, che scompagina con una protagonista, la Bella Baxter della seducente e straniata Emma Stone (forse La Coppa Volpi…), strana creatura con un cervello trapiantato dal nascituro che si porta in grembo e pronta a imprevedibili trasgressioni a cominciare da quelle sessuali. Non c’erano alternative e il film non ha faticato a mettere d’accordo una Giuria affollata di registi (Jane Campion, Laura Poitras, vincitrice del Leone lo scorso anno, Santiago Mitre, Martin McDonagh, Gabriele Mainetti e Mia Hansen-Løve).

Due Premi che sono anche uno sguardo all’attualità e alla ferita di una migrazione che segna il nostro tempo, vanno ai film di Garrone e Holland, molto diversi come possono essere l’epica dolorosa di un’odissea che parte dal centro dell’Africa e arriva in Sicilia, e il crudele girovagare di un gruppo di profughi che gli interessi dei governi fanno rimbalzare sui confini verdi tra Polonia (che molto ha protestato, ma le cronache, terribili, sono lì..) e Bielorussia.

Il Gran Premio della Giuria riconosce l’ispirazione lieve, sospesa e profonda di Ryosuke Hamaguchi con il suo canto sull’armonia della natura e di una comunità minacciata da un glamour camping. Migliore sceneggiatura quella per El Conde di Larraìn, regista sempre capace di provocare (come ha dimostrato in Post Mortem, Neruda, Jackie...) e richiamare alla lacerazione cilena di Allende e del generale Pinochet che qui diventa un volante e insaziabile vampiro che ha 250 anni e cinque figli che vogliono impadronirsi della sua eredità. Se c’è un limite è il compiacimento che dilata fin troppo una scelta di per sé di spiazzante ironia.

Quanto agli attori, Cailee Spaeny vince con la sua interpretazione dell’adolescente Priscilla di cui si invaghisce Elvis Presley (e viceversa), un’altra delle figure femminili che attraggono Sofia Coppola, timide e determinate, spaesate e in cerca di un’identità. Scorrendo i titoli, però, come non pensare anche a Emma Stone, a Jessica Chastain, madre single con ferite nell’anima in Memory o a Carey Mulligan, sguardo dolente e complice sul marito Leonard Bernstein in Maestro?

Sul versante maschile la giuria premia la recitazione dolente e in sottrazione di Peter Sarsgaard, affetto da demenza e che dunque ha cancellato le violenze del passato (Memory). Prevale su Caleb Landry Jones, magnifico e vessato signore dei cani in Dogman di Luc Besson, Mads Mikkelsen, coraggioso pioniere danese in The Proimised Land, il gelido Michael Fassbender di The Killer, lo scisso omo/etero Bradley Cooper/Bernstein (Maestro) e Franz Rogowsky, il nomade vendicativo di Lubo di Giorgio Diritti. Tra i volti che si affacciano sullo schermo il Premio Mastroianni va correttamente al senegalese Seydou Sarr, il coraggioso capitano del film di Garrone.

Dunque, Venezia 80 va in archivio, con una selezione che non ha abbondato di opere memorabili, forse anche per i vuoti creati dallo sciopero americano di sceneggiatori e registi. Erano sei i film italiani in concorso, forse troppi, di certo dicono di un’ambizione produttiva che ancora non riesce a trovare lo slancio, la spregiudicatezza e l’apertura per imporsi oltre i confini.

Va detto che rispetto al cartellone ufficiale è nella sezione Orizzonti che sono apparse visione fresche, non confezionate e vitali, a cominciare da Magyaràzat Mindenre di Gàbor Reizs che ha vinto come miglior film con la sua storia libertaria, oltre le contrapposizioni che lacerano l’Ungheria. Da ricordare i due premi a El Paraìso: a Enrico Maria Artale (anche regista) per la sceneggiatura e all’interprete Margarita Rosa De Francisco, e quello speciale a Una sterminata domenica di Alain Parroni, tre ragazzi in bilico tra Roma e Ostia e sul filo del passaggio adolescenziale. Con Felicità di Micaela Ramazzotti che gli spettatori hanno premiato in Orizzonti Extrta, Segnali interessanti di un fermento originale che guarda al futuro del nostro cinema.

 

 

Torna alla Homepage di Rai Easy Web