“Berlusconi ha fatto la Storia del Paese”, “Con la sua morte si chiude un’epoca”, “Ha cambiato la politica e l’Italia”, la retorica del lutto s’intreccia con la constatazione di un protagonista simbolico che ha impersonato una lunga stagione del nostro cammino.
Tutto cominciò in quel giorno della Discesa in campo, il 26 gennaio 1994, quando Berlusconi apparve a reti unificate ad annunciare il suo impegno politico. C’erano già tanti degli elementi riconoscibili di un leaderismo carismatico che aveva radici profonde. Berlusconi era il creatore-imprenditore di Fininvest, di un’avventura immobiliare, di un’espansione editoriale controversa che, con mediazioni della politica, gli aveva dato il controllo della Mondadori e - tutto si tiene - di un impero mediatico che aveva fatto conoscere agli Italiani la tv commerciale, battendo concorrenze importanti e avendo una sponda importante nel PSI di Bettino Craxi, il cui esilio ad Hammamet non va dimenticato tra le motivazioni strutturali di quella scelta. Un modello televisivo che rappresentava una rivoluzione antropologica fondata sulla centralità dei consumi, in una visione laica e moderna del capitalismo post-industriale, che stabiliva una connessione diretta tra il piccolo schermo e il supermercato. A chiudere il cerchio, la cavalcata mondiale nel calcio con le maglie rossonere del Milan.
In quell’annuncio c’è già tutto Berlusconi, il suo protagonismo, la vocazione al liberismo, l’ego del leader e l’idea di un partito-persona, un rapporto del tutto nuovo tra politica e immagine.
Berlusconi scendeva in campo e innalzava nella cornice dell’Europa l’insegna della libertà contro la minaccia del comunismo, un argomento-perno della sua proposta politica con cui coagulare un elettorato stordito da Mani Pulite e dalla fine del Triangolo partitico della Prima Repubblica: DC, PSI e PCI, i primi due sostanzialmente spazzati via, il terzo superstite forse con l’illusione di godere di un’eredità ma costretto a fare i conti con le sue radici e con il problema tuttora irrisolto del riformismo.
“L’Italia il Paese che amo”, esordiva avendo alle spalle i ritratti dei figli e della famiglia, come a dire un quadretto rassicurante per il ceto medio, certo, ma anche l’anticipazione di un populismo che poi sarebbe divento demagogico e sovranista. Una rivoluzione insomma nell’idea stessa della politica e nel suo linguaggio, da debordante Citizen SB e in una riedizione aggiornata della Democrazia Cristiana interclassista, nell’epoca della società dei consumi che mette al primo posto la mano invisibile del mercato che di per sé produce il progresso della società e la felicità di tutti.
Questo progetto Berlusconi lo ha svolto con tre governi che dal centro, anche qui con una svolta radicale rispetto al passato, ha aperto sulla destra, che fu quella risciacquata a Fiuggi di Giancarlo Fini con cui per la prima volta un’area che faceva riferimento al Ventennio entrava nell’area del governo.
Un’entrata così ingombrante ha provocato una conflittualità aspra, con un interminabile risvolto giudiziario, alimentato per un verso dalle forzature di una disinvolta cultura imprenditoriale e anche dai comportamenti trasgressivi di un Protagonista-edonista fatto per debordare nel gossip - le notti di Arcore, il Bunga Bunga, la nipote di Mubarak.. - ma certamente anche da un’ombra giustizialista.
Si pensi solo al conflitto di interesse che però neanche i governi di centrosinistra hanno saputo affrontare, a dimostrazione di una galassia della politica spesso con trasversali vischiosità che hanno pesato sia sugli esiti di governo di Berlusconi sia su un’opposizione che non sempre è passata dalla demonizzazione a una riflessione sul cambiamento strutturale che stava avvenendo.
La sua morte chiude una fase? Certo, Berlusconi ha fatto l’agenda di questi anni e però i punti cardinali attorno a cui si è costruito il suo successo si sono molto spostati: la società si è frammentata e radicalizzata, la tv e anche il mercato sono stati inglobati nella rete, il liberismo ha dovuto confrontarsi con la crisi della democrazia e nuove disuguaglianze, la guerra ha messo in discussione un’idea ecumenica post Guerra Fredda che aveva portato Berlusconi assai vicino a Putin.
La sua novità è stata grande, un Arci-Italiano, indomabile e eros-priapesco, che si è imposto a Guida nel tempo della telepolitica e del mercato globale. Ma, ormai, siamo in un'altra Storia e di quello che fu il Caimano resta forse solo il pugnace orgoglio di un Dinosauro.