VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Il calcio di Bruno Pizzul

 

di Guido Barlozzetti

È stato l’ultimo telecronista del calcio assunto nell’immaginario collettivo del Paese. Dopo Nicolò Carosio e Nando Martellini arrivò lui, Bruno Pizzul e quando comincio ad applicarsi alle telecronache ci fu chi rimpiangeva quegli illustri predecessori. Ma Pizzul fece presto a insediarsi nelle abitudini degli Italiani e a conquistare la oro simpatia. È morto a un passo dagli 87 anni, li avrebbe compiuti sabato prossimo, essendo nato a Cormons nel 1938. Se ne va una stella, sobria, elegante, ironica, nel firmamento di una televisione che non c’è più.

Non si tratta di rimpiangere di avere nostalgie. I tempi sono radicalmente cambiati, il calcio riempi gli schermi televisivi tutti i giorni e a tutte le ore, non è più il rito proposto con parsimonia del quale lui è stato l’ultimo sacerdote. Non si tratta di fare classifiche o di dare i voti, ci sono tanti telecronisti bravi in giro, alla Rai, nella tv commerciale o sulle piattaforme a pagamento, solo che è scomparsa quell’aura che di una partita faceva un evento, in un tempo in cui la quantità a differenza di oggi era rigorosamente limitata. Basti solo pensare che prima dell’esplosione della bolla calcistica, nella televisione del monopolio, stiamo parlando degli anni 60, la domenica si trasmetteva solo un tempo di una partita del campionato di calcio in differita.

Era in quel contesto di scarsità che anche chi raccontava un match diventava una voce affidabile con cui si entrava in sintonia al punto da farne un amico, un compagno di strada complice con il quale si assisteva a un incontro. E Bruno Pizzul, ha accompagnato il pubblico, che si sedeva con lui sugli tribune di uno stadio e veniva introdotto alla partita con colloquiale familiarità e il calore pastoso di una voce. Uno stile mediano, mai sovreccitato o urlato, così equilibrato che poteva arrivare al massimo a un “tutto molto bello” per sottolineare la prodezza di un goal o di una manovra. Pizzul è sempre rimasto fedele alla sua cifra, non ha mai avuto tentazioni spettacolari, si è dato un copione e quello ha rispettato.

Gli venne anche imputata questa attitudine a sottrarre, ma lui era il telecronista della Rai, del servizio pubblico, come tale un mediatore con tutta la responsabilità che ne conseguiva e quindi con l’obbligo di stabilire un rapporto con lo spettatore fatto di correttezza e rispetto, anche e soprattutto nel linguaggio che usava. Sembrano anni luce rispetto a un’epoca remota, nel tempo della comunicazione così vorticoso qualche decina d’anni diventa una preistoria.

Adesso si ricordano i numeri di una lunga carriera, i cinque campionati mondiali e quattro europei commentati, le tante partite della nazionale seguite dal 1986 alle 2002, ultima partita un’Italia - Slovenia persa dei nostri prodi per 1 a 0.

Nell’effimera mitologia di un medium come la televisione Pizzul resta legato a due situazioni, l’una agli antipodi dell’altra.

La prima fu la tragica serata dello stadio Heysel a Bruxelles in occasione della finale della Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool il 29 maggio del 1985. La pressione incontrollabile dei tifosi inglesi fece crollare una tribuna e causò la morte di 39 tifosi. Pizzul si trovò a gestire una situazione drammatica, in diretta, con l’obbligo di dare notizie solo quando garantite dall’ufficialità, quindi in un tempo sospeso tra l’angoscia sua. L’incertezza di voci sommarie che si accavallavano e la preoccupazione di chi seguiva quella partita da casa e che magari aveva un parente un amico in quello stadio e la necessità che ha un cronista di riferire ciò che vede e di darne testimonianza a chi guarda. Resta il suo annuncio: “"E ora purtroppo una notizia che debbo dare, perché è ufficiale, viene dall’Uefa. Ci sono 36 morti… Una cosa rabbrividente, inaudita… E per una partita di calcio”.

L’altra, cinque anni dopo, in occasione dei Mondiali organizzati in Italia nel 1990. Fu lui il nostro cantore di quelle Notti Magiche, come cantava Gianna Nannini nella sigla di quell’evento che accese l’euforia della Penisola. E fu ancora lui a dover raccontare lo stop crudele che fermò la Nazionale in una semifinale a Napoli persa ai rigori.

In Rai era entrato nel 1969 con un concorso vinto insieme ad altri che sarebbero diventati volti conosciuti, da Paolo Frajese a Bruno Vespa. Prima aveva avuto un’avventura calcistica che lo aveva portato dalla squadra dilettantesca della città in cui era nato, Cormons, a Catania. Giocava da robusto centromediano e si divertiva a ricordare che aveva sostenuto un provino con Tarcisio Burgnich, che sarebbe diventato il mitico terzino della grande Inter di Helenio Herrera, vincendolo.

Una carriera calcistica breve, poi una laurea in giurisprudenza, l’insegnamento di lettere in una scuola media e quel concorso che cambiò la vita a lui e avrebbe portato nelle case degli italiani un frugale interprete dello sport nazionale. Era solito dire che “oggi ci sono tanti telecronisti bravi, ma parlano troppo”. Era la conferma di una vocazione, se non minimalista, morigerata e prudente mai incline all’eccesso retorico.

Non c’è nessun eroismo in tutto questo, i protagonisti della televisione sono come noi, semmai è il fatto di parlare a milioni di persone che li investe di una responsabilità, quando lo fanno dei microfoni di un servizio pubblico come anche nella tv commerciale o a pagamento. È la televisione che proponendoceli con continuità e facendoli affacciare delle nostre case, fa sì che con loro si stabilisca una consuetudine. Bruno Pizzul è stato seduto per tanti anni nel nostro salotto, ci ha raccontato tante partite da friulano che conosceva la misura delle cose e di questo lo ringraziamo.

 

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