Il Premio Paolo VI che Papa Francesco riconosce al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, oltre al prestigio in sé, diventa anche l’occasione per una riflessione su un fondamentale ruolo istituzionale del nostro sistema democratico sul modo in cui il Presidente continua a interpretarlo.
La motivazione sottolinea “la sua dedizione al bene comune in un impegno politico ispirato ai valori cristiani e rigoroso nel servizio delle istituzioni civili” e tiene insieme i due versanti che da sempre caratterizzano la storica tradizione dell’impegno dei cattolici nello Stato.
È persino ovvio sottolineare quanto Mattarella sia stato in questi anni un punto di riferimento del Paese, preso in cambiamenti radicali, ben oltre i confini della Penisola, e colpito da emergenze che hanno sconvolto bussole e panorami tradizionali. Al punto da portarlo ad accettare un secondo mandato.
Basti pensare al Covid, ai governi che si sono susseguiti con maggioranze molto diverse, spesso con elementi di incompatibilità che ne hanno compromesso la stabilità, alle vibrazioni inquietanti dell’architettura del modello di democrazia, al cuneo che si è allargato delle disuguaglianze, ai fluissi delle migrazioni, alla nuova ormai imprescindibile dimensione internazionale in cui i percorsi nazionali vanno ineluttabilmente a incastrarsi.
L’Italia è profondamente cambiata in questi anni, il Paese si è frammentato, una volta venute meno le coordinate politico-ideologiche della triade Democrazia Cristiana/Partito Comunista/Partito Socialista, che come orizzonte aveva i cosiddetti “partiti dell’arco costituzionale” e sullo sfondo la divisione tra Est e Ovest, tra blocco sovietico e occidentale.
Mattarella si è comportato ed è stato percepito - ed è questo un suo grande merito - come una guida sicura, custode di valori fondamentali e di un quadro di riferimento, l’Europa, la Nato, e naturalmente come garante della carta costituzionale sulla quale è fondata la Repubblica. Una percezione ancora più forte rispetto al vacillare di tanti aspetti della vita sociale e politica.
In ogni occasione ha ricordato i capisaldi su cui si regge il nostro Stato, con un’intensità e una passione che ricorda quella di certi maestri che semplicisticamente potremmo riportare alla pedagogia del libro cuore di Edmondo De Amicis, o di certi parroci che fanno pensare al Padre Cristoforo de I Promessi Sposi, con la capacità straordinaria di entrare immediatamente in sintonia con chi si trovano davanti con l’esemplarità di una voce, in questo caso un paese lacerato, rissoso, sul bordo spesso della rassegnazione, percorso da istinti individualistici se non egoistici.
Mattarella non ha mai perso occasione di ricordare la necessità di condividere un destino comune e lo ha interpretato nel senso più largo, ovverosia nella richiesta di un’uguaglianza e di una sensibilità solidale che riguardasse tutto il paese e tutti gli strati sociali, peraltro presi in un cambiamento che ha generato e continua a generare emarginazione e nuove povertà oltre che alla fragilità di un perno fondamentale quale era la cosiddetta classe media. Ha tenuto una rotta sicura in un mare per tanti versi procelloso e imprevedibile, ha offerto un ancoraggio con tratti anche di una paternalismo in un tempo in cui i padri vengono messi in discussione e i figli, al tempo stesso desiderosi di libertà e di nuove esperienze, inconsciamente continuano a reclamarne l’assenza.
In tutto questo certamente è stata fondamentale la sua formazione politico-culturale di cattolico chi si impegna nella politica e vi porta i valori di una religione nel rispetto della laicità dello Stato. Anche questa una riflessione da fare in un tempo in cui la secolarizzazione avanza inarrestabile, rischia di erodere i valori - a cominciare dalla “persona” - e la dimensione dei social non basta certo a risolvere, anzi, il problema delle solitudini e delle chiusure in un fragile solipsismo.
La nuova rete nella quale ci troviamo offre grandi opportunità mentre scava nella nostra stessa libertà e la sottopone a controlli invisibili e alla tirannia dell’algoritmo. E intanto va a cambiare radicalmente il quadro geopolitico del mondo e il Paese si trova su un bordo sul quale deve decidere del modo in cui essere presente. Mattarella in questo si presenta come l’ago della bilancia, tra un passato storico che ha fatto la storia italiana e con quello guarda al futuro, una sfida con l’avvedutezza, la forza dell’esperienza, la misura che viene dal tempo vissuto e dalle esperienze, a volte drammatiche.
Alla fine, proprio per questo, gli dobbiamo uno sguardo irripetibile, quello che non sempre siamo capaci di assumere e che non sempre questo tempo appiattito sui prossimi cinque minuti e di scarsa memoria riesce ad avere, la responsabilità che ci ricorda di di tenere insieme ciò che siamo stati a ciò che saremo, consapevoli del cammino percorso e insieme delle contraddizioni. Si dice della breve vita della nostra unità e delle difficoltà irrisolte del Risorgimento quando ancora Massimo d’Azeglio, sarà pure un luogo comune, ricordava che l’Italia era stata fatta ma che bisognava fare gli italiani.
Ecco oggi il presidente Mattarella sta esattamente su quella linea, un uomo del suo tempo di cattolico e politico che ha saputo portato e testimoniare in questa attualità. A lui dobbiamo il richiamo ininterrotto e confidente - per certi versi solitario e anacronistico - a riflettere sulla nostra stessa identità e dunque sulla responsabilità che una comunità ha verso se stessa.