VERGUENZA, SPERANZA, COSTANZA E PERSEVERANZA

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Un pagliaccio dal naso rosso e i capelli arancioni è seduto su uno sfondo blu, accanto alla scritta colorata di verde, viola e bianco "Il Pagliaccio Oreste in Verguenza, Speranza, Costanza e Perseveranza, il racconto di Oreste Valente". Indossa una giacca verde acceso e dei pantaloni verde scuro, entrambi con risvolti a righe bianche e rosse. In testa calza un cappellino verde dal quale spunta una margherita e al collo ha un grosso papillon verde a pois viola. Le grandi scarpe sono bianche e rosse.Ehi chi c’è? E che è?
Non sento nulla intorno a me,
Ma ci siete voi, amici ed eroi!
Hola. Olà...Buongiorno... e Buonasera.
Sono Pagliaccio Oreste, vi ricordate?

A milioni ce n’è nel mio mondo Pagliaccio
di storie da narrar. Siete pronti a seguirmi?
Vivo con i piedi per terra e la testa fra le nuvole
Venite con me nei miei mondi fatati per sognar!
Una nuova avventura vi aspetta.

Erano Verguenza, Speranza, Costanza e Perseveranza quattro Pagliacce gemelle, nate quando nel mondo non esistevano gli aerei, non esistevano i computer, i telefoni cellulari, ma i pattini a rotelle, le mongolfiere, le biciclette e i treni esistevano già.
Come tutte le sorelle gemelle erano inseparabili e raggiunti i diciotto anni, salutarono la famiglia e scelsero una nuvola sbilenca dove costruire una casa tutta per loro.
Chiamarono l’Architetto Rondone che progettò una bellissima villa.
Fu preparata in pochissimi giorni.
Era una casa a tre piani molto strana che aveva quattro tetti, il primo stretto e lungo, il secondo largo e coperto di tegole variopinte, il terzo coi merletti come fosse un castello, il quarto sembrava lo scivolo di un parco giochi.
Su ogni lato al terzo piano quattro grosse finestre.
Il secondo piano, staccato dalla nuvola, era circondato da un grosso balcone dove si affacciava un Grande salone che aveva sul fondo una porta graziosa attaccata a una grossa conchiglia di madreperla che le sorelle usavano come scalone per accedere al giardino racchiuso e protetto da una siepe di zucchero filato.
Il Grande Salone era identico al salone da ballo della reggia di Versailles, era pieno di buone cose di pessimo gusto, regali insoliti di carissimi amici.
Un divano dorato e volante era un dono di un vecchio ippogrifo, coppe d’argento e cristallo erano gli omaggi di un unicorno, sedie a forma di nidi le avevano portate le aquile, migliaia di lenti d’ingrandimento di ogni misura erano i regali di falchi ad ogni Natale.
In questo spazio magico, vivevano felici, accoglievano i loro amici e provavano i loro originalissimi e seguitissimi numeri che riscuotevano grandi successi sui più prestigiosi palcoscenici del mondo.
Verguenza era una bravissima equilibrista, Speranza una brillante giocoliera, Costanza un’acrobata perfetta, Perseveranza una contorsionista instancabile.
Nella primavera e nell’estate delle stagioni lunari, stavano nella loro bella casa a riposarsi e a provare.

In inverno, quando in cielo si preparavano le grandi stagioni delle piogge, le quattro gemelle scendevano a svernare in basso sulla terra, a Imperia nella Liguria di ponente, dove avevano costruito una bella villa bianca che poi un giorno regalarono a un adorato pronipotino come loro Pagliaccio.
Villa Bianca era unica al mondo, e se chiedevi a Speranza come fosse quella casa speciale, lei si alzava in piedi e saltellando cominciava a parlare infervorandosi:
“Volete sapere com’è Villa Bianca, la nostra bella dimora? Oh... è accogliente, sontuosa e originale. Sempre si sente la musica che esce da specchi magici, da armadi delle fiabe e delle meraviglie dove vivono simpatici fantasmi che vi faranno ridere... Viviamo bene in quel posto fatato, tanti uccelli hanno costruito i loro nidi nel nostro giardino, addirittura i gabbiani che dalle guglie della Villa Bianca partono in picchiata per gettarsi nel mare e pescare.” Proprio un gabbiano, un vecchio gabbiano genovese chiamato Augusto, accompagnava le nostre Pagliacce ogni anno a Villa Bianca, le caricava insieme ai loro voluminosi bagagli sulle sue ali e le portava a casa.
Aprivano il cancello della Villa, respiravano a pieni polmoni e subito andavano in un orto vicino ad una fontana dai mille zampilli, facevano un buco nella terra e piantavano in una grande aiuola a forma di cuore un pisello speciale. Al principio della primavera la pianta cresceva velocemente e diventava una grande scalinata che le riportava direttamente sulla loronuvola. Eh sì, amici, il ritorno era più comodo!
La Villa Bianca era abbastanza vicina alla Stazione ferroviaria da dove le nostre sorelle prendevano il treno per raggiungere le città più belle dell’Europa dove si esibivano nei teatri e nei circhi più amati dal pubblico di ogni età. Nel cielo violaceo splende un sole ocra. La veduta dall'alto mostra in primo piano, a sinistra, il gabbiano Augusto con le sorelle Verguenza, Speranza, Costanza e Perseveranza e i loro bagagli affondati tra le ali. Si dirige verso Villa Bianca, una accogliente dimora dai muri bianchi dai tetti rossi, circondata da un verdeggiante giardino pieno di nidi di uccellini. Al centro del giardino una maestosa pianta di pisello si arrampica fino alla nuvola dove le sorelle hanno costruito la loro sghemba dimora.

Alla Stazione arrivavano in bicicletta e quando in Italia i treni non arrivavano perché - è noto a tutti - sono sempre in ritardo o annullati o c’era lo sciopero -ahimè sempre più spesso - salivano su una mongolfiera e sfruttavano le correnti dei venti per raggiungere le piazze delle loro esibizioni.

Che strana la vita delle nostre amiche Pagliacce!
Riposavano a casa e lavoravano in vacanza divertendosi moltissimo.
Speranza era chiacchierona e sempre rideva, Costanza era alta e con una voce e una gestualità muscolosa e parlava in coro con Perseveranza. Più che parlare cantavano sempre e non erano mai stanche...
E la timida Verguenza?
Era sempre a cercare i posti più strani e nascosti dove mettere alla prova le sue doti innate di magnifica equilibrista.
Erano gemelle perfette, le distinguevi soltanto per il colore del naso che era lo stesso dei vestiti: rosso quello di Verguenza, verde quello di Speranza, giallo quello di Costanza e bianco quello di Perseveranza.
Verguenza aveva paura di tutto e, se stava troppo sola, era assalita da un turbamento strano, non parlava, mai, aveva un bel sorriso e teneva basso lo sguardo, il suo viso spesso si dipingeva di un rossore che riusciva ad uscire da sotto il cerone bianco.

Le sorelle Costanza e Perseveranza le dicevano:
“Sorella adorata il tuo nome vuol dire Vergogna ma tu non devi vergognarti per questo. Homen nomen, dicevano i latini. Il proprio destino è nel nome che portiamo!
La vergogna è compagna di vita di tutte le creature del creato, eppure tutti continuiamo a camminarle accanto senza prestarle attenzione, senza capire il suo ruolo nella nostra esistenza, senza comprendere quanto, in fondo, ci faccia bene.”
Aggiungeva Speranza:
“Sorella adorata andare incontro all'imbarazzo, al senso di colpa, al rimorso è una parte spesso inevitabile delle nostre giornate: come approcciamo a questi momenti è ciò che determina le persone che siamo.
La vergogna ha sempre qualcosa da insegnarci.
Nella vita di tutti i giorni, tutti sperimentiamo sfumature diverse di vergogna. Soprattutto noi Pagliacci.
Alcuni si sentono troppo diversi dagli altri, altri troppo alti, altri si vergognano del loro trucco esagerato, altri delle scarpe che sembrano valige.
Tu adorata Verguenza quando vuoi puoi essere leggera e salire su un filo e quando sei sul tuo filo come un funámbulo hai più coraggio del più coraggioso degli eroi e sei bellissima e tutti ti battono le mani.”
Verguenza cominciava a sorridere e faceva mille capriole. Eh sì quando Speranza parlava tutti, sempre, si sentivano bene e volevano ballare.
Speranza prese un violino, salí su una pedana, dietro si nascondevano Costanza e Perseveranza e appena calava il sipario cominciavano a cantare:

“Ecco qui Costanza e Perseveranza
Ad oltranza
con esuberanza
per gustar con voi la fragranza
della lungimiranza
per sconfiggere l'ignoranza
e l'intolleranza
della maggioranza
con noncuranza
alimentare la speranza
e la tolleranza della minoranza
senza speranza
con costanza
ad oltranzaaaa”

Un giorno, si separarono. Un grande impresario propose ad ognuna un contratto diverso.
Speranza sarebbe stata la star in un Circo che si sarebbe esibito in Africa, nei paesi più sperduti dell’India, in Brasile e nei posti più tristi del Sud America e dell’Oceania.
Diceva l’impresario che lí c’era bisogno di Speranza.
Costanza avrebbe recitato in Cina e in Giappone.... eh sì perché da quelle parti la Costanza era molto apprezzata e in tanti quindi avrebbero svuotato i botteghini.
Perseveranza sarebbe stata l’opinionista in un seguitissimo salotto domenicale in tivù, in Italia, dove la perseveranza era di casa.
E Verguenza sarebbe stata la testimonial di una campagna pubblicitaria in tutta Europa.
Erano solo fotografie per riviste patinate.
Riteneva l’impresario che di Vergogna c’era tanto bisogno nella vita politica e sociale del vecchio mondo.
Vissero separate per due lustri.
Erano tristi.
Da sola Costanza era troppo noiosa, Speranza dispersiva e sognatrice, Perveranza troppo álgida e teutonica, Verguenza irritante e triste.
L’impresario si arricchì molto ed era felice per le quattro fortunate avventure.
Si ritrovarono finalmente le gemelle sulla loro nuvola e decisero che mai più si sarebbero separate.
Decisero di stare sempre insieme e fare tutto insieme.
L’impresario cercò di farle desistere da questa idea, ma loro lo convinsero che una avventura insieme sarebbe stata più forte e utile al mondo intero.
Era proprio così: la più grande avventura che è la vita, se è sognata con un po’ di vergogna e pudore, desiderata con tanta Speranza, seguita con Costanza e conseguita con Perseveranza, è universale, più bella e utile al mondo.

 

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