di Guido Barlozzetti
Quasi 1300 grattacieli (1294 per l'esattezza) segnano l'inimitabile skyline di Hong Kong e ne fanno, oltre che un panorama affascinante, la città più in verticale al mondo.
È fra quella miriade di torri che da più di una settimana vediamo scorrere un immenso fiume di gente che si è riversato sulla Hennessy Road (che nel nome rimanda a un governatore inglese alla fine dell'Ottocento) e dilaga per tutte le strade, centinaia e centinaia di migliaia di abitanti, tantissimi giovani, fino addirittura ai due milioni che sarebbero stati raggiunti ieri, nella seconda domenica di proteste. Sono queste, almeno, le cifre fornite dal Civil Human Right Front che ha organizzato l'impressionante manifestazione contro la cosiddetta "legge dell'estradizione" che, se venisse approvata, consentirebbe alla Cina di catturare i dissidenti e gli oppositori politici nel territorio di Hong Kong che, secondo gli accordi stipulati nel 1984 con la Gran Bretagna, gode di una sorta di semi-autonomia nei confronti dell'autorità di Pechino.
Le proteste sono montate contro l'intenzione del capo dell'esecutivo, Carrie Lam, di approvare la legge, dietro alla quale i cittadini del territorio temono si nasconda l'intenzione di ridurre l'indipendenza politica e giudiziaria dell'ex-colonia inglese.
Perché di questo si tratta: di una tensione che nasce dalla storia di Hong Kong e dall'ambiguità che ha generato.
In sintesi: alla fine della Guerra dell'Oppio, nel 1842, con il Trattato di Nanchino, l'imperatore cinese Guang Xu concede l'amministrazione dell'isola alla Gran Bretagna, nel 1860 si aggiungono la penisola di Kowloon e altri territori, fino all'accordo del 1898 che stabilisce una concessione per 99 anni. Il controllo inglese va avanti senza intoppi – a parte il drammatico periodo dell'occupazione giapponese dal 1941 al 1945 – poi, man mano che ci si avvicina alla scadenza, comincia una trattativa per governare il passaggio di un territorio segnato dall'economia capitalistica e dalla democrazia parlamentare, alla Repubblica Popolare della Cina e al sistema comunista.
La formula su cui si trova un'intesa è quella indicata dal Presidente cinese Deng Xiao Ping: "Una Cina due sistemi", in base alla quale alla Cina spettano la gestione della politica estera e militare, mentre il territorio come "regione amministrativa speciale" mantiene la sua economia e le sue istituzioni. Queste garanzie sono riconosciute anche da una Costituzione, la Legge Fondamentale. Il tutto contenuto in un accordo che ne fissa la durata al 2047. Che si tratti di un equilibrio assai fragile lo testimoniano le ondate di proteste che si sono succedute negli anni, in particolare la "rivolta degli ombrelli" di cinque anni fa, promossa da un gruppo di attivisti all'insegna di "Occupy Central with love and peace". Settantanove giorni di occupazione della zona più significativa dell'isola sul piano economico, di fronte alla penisola di Kowloon, finiti con la repressione da parte della polizia, materia del contendere una legge elettorale che vincola all'approvazione del Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del Popolo sia i candidati al voto che il vincitore.
Adesso la protesta è tornata, con dimensioni imponenti se si pensa che la popolazione di Hong Kong è di 7.4 milioni (per il 95% cinesi). E la Chief Executive, la signora Lam, ha dovuto fare un passo indietro annunciando un rinvio sine die, e poi rammaricandosi per le tensioni e i contrasti che si sono sviluppati. Ciò che, peraltro, non ha convinto i manifestanti, i quali hanno ribadito di voler puntare alla cancellazione definitiva del provvedimento.
In effetti, Hong Kong è veramente un'isola rispetto all'immensità della Cina, con una differenza radicale rispetto alla Repubblica Popolare di cui fa parte, con le eccezioni ricordate. Troppo grande la distanza sul piano economico, finanziario e politico, perché la Cina non tenti di intensificare il controllo e, al tempo stesso, perché il territorio non sia preoccupato di difendere i diritti di cui gode.
Hong Kong è una cerniera delicata, una porta aperta tra la Cina e il mondo – e viceversa – attraverso cui passano montagne di capitali, grazie a un sistema bancario tra i meno trasparenti e i meno controllati al mondo, al punto da essere inserita nella Lista Nera dei paradisi fiscali.
Interessi fortissimi che hanno determinato una concentrazione umana tra le più alte al mondo: 6544 abitanti per chilometro quadrato, inferiori solo a Macao, Monaco e Singapore.
Un alveare umano, con un aeroporto che accoglie più di 70 milioni di passeggeri all'anno e un terziario che copre oltre l'86% del Pil. Un indicatore: qui si concentrano più consolati di qualunque altro paese al mondo, 107 contro – per fare un esempio – i 93 di New York che è pure sede delle Nazioni Unite.
Il destino del mondo passa anche per questi 1.100 chilometri quadrati.