La guerra è tornata in Europa. Il fantasma terribile, a parte la convulsione interna della Jugoslavia e l’intervento della Nato nel 1995, è riapparso a sconvolgere un mondo già turbato e smarrito per la pandemia.
Era dalla Seconda Guerra Mondiale, dal 1945, che nel continente non tuonavano i cannoni. Quasi ottanta anni di pace che vengono calpestati dall’invasione russa dell’Ucraina, che - al di là delle motivazioni - impone il principio della forza a quella del civile confronto tra le nazioni e porta con sé lo strascico tremendo di ogni conflitto, la morte e la sofferenza, le popolazioni colpite e devastate nella loro quotidianità.
E si è accesa una miccia che ogni giorno di più diventa più complicato spegnere perché alta è la posta in gioco e frontale è la contrapposizione che vede da una parte la Russia del presidente Putin, dall’altra, con l’Ucraina, l’Europa e gli Stati Uniti, che si ritrovano insieme nell’alleanza della Nato.
In televisione vediamo le immagini delle esplosioni, dei tank distrutti, le macerie, il vuoto delle città nel silenzio tagliato dalle sirene che annunciano i bombardamenti, i profughi che ormai a centinaia di migliaia attraversano il confine con la Polonia e la Romania. E intanto si susseguono i proclami di Putin che, rotto ogni margine di trattativa diplomatica, ha attaccato. Annuncia di voler “demilitarizzare e denazificare” l’Ucraina e addirittura avverte di aver dato l’ordine di mettere in allerta il dispositivo delle armi nucleari, mentre l’Europa, in una compattezza inedita, approva sanzioni che vanno a colpire l’economia e la finanza russe, a cominciare dal blocco dei beni in Occidente e del sistema di pagamento interbancario. Una sorpresa, forse, per lo stesso Putin che magari pensava ad una reazione più morbida e frastagliata e che vede invece l’UE come uno degli attori dello scenario su cui si gioca la partita, insieme agli Stati Uniti del presidente Biden, fortemente ostili all’intervento russo, e alla Cina che mantiene una posizione accorta e prudente, attenta a non incrinare le relazioni con Mosca ma nemmeno del tutto ossequiente.
È fin d’ora evidente che quanto sta accadendo molto influirà sugli equilibri geopolitici del mondo.
Ma perché si è arrivati a questo punto? Bisogna partire dal crollo del Muro nel 1989, quando dalla deflagrazione dell’URSS comunista nasce la Russia di Eltsin e le repubbliche prendono ognuna la sua strada, con il risultato che via via entrano a far parte della Nato gli stati baltici, la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Romania, la Bulgaria e gli stati usciti dall’esplosione della Jugoslava, esclusa la Serbia. Insomma, sparito l’ombrello sovietico tirato su dagli accordi di Yalta del 1945, entra nell’orbita occidentale la fascia che ha separato la Russia dall’Europa, quella che al tempo della Cortina di Ferro coincideva con i cosiddetti “paesi dell’Est”.
Un processo assai malvisto dalla Russia e da Putin in particolare che, nel suo ipernazionalismo (post) imperiale, è deciso a contrastarlo per riaffermare la perduta zona d’influenza ed evitare di avere sui confini paesi aderenti alla Nato, con i conseguenti riflessi militari e geopolitici.
Putin, nella sua visione delle cose e nella ricostruzione della storia, ha sostenuto che l’Ucraina in quanto tale non esista, che sia stata una creazione della fase leninista della Rivoluzione d’Ottobre, cancellata poi da Stalin, e che faccia parte intrinseca della Russia. Di contro, dall’Ucraina ribattono che è proprio nella loro terra si forma il primo nucleo Rus’, molti secoli prima che nasca il Principato di Mosca.
In ogni caso, la pressione russa si è già manifestata con l’occupazione della Crimea - che fu “donata” da Kruscev all’Ucraina alla morte di Stalin - e poi con il riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche del Donetsk e del Lungansk, nell’area mineraria del Donbass e a forte prevalenza della popolazione russa. Di fatto una sorta di annessione.
Adesso, l’invasione brutale, i carri armati che avanzano e i missili, che negli intendimenti di Putin dovrebbero sottrare l’Ucraina a qualunque legame con l’Occidente e, in particolare, scongiurare l’ingresso nella Nato.
Poco importa che ci sia un governo democratico che rivendica l’indipendenza con il presidente Volodymyr Zelens'kyj, già attore conosciuto per una serie tv di grande successo - Servitore del Popolo, il nome non casuale anche del suo partito - che nel 2019 ha vinto con il 73% il ballottaggio con l’uscente Poroshenko, su posizioni di vicinanza con l’Europa, anti-establishment e populiste.
È lui che in queste ore anima la resistenza ucraina e si affida all’aiuto dell’Europa che, in effetti, lo sostiene compatta con sanzioni pesanti e aiuti militari.
Nel frattempo, è anche partita una trattativa tra le delegazioni russa e ucraina, nel territorio della confinante Bielorussia, che se per il momento vede pochi passi in avanti, resta comunque un punto di contatto, anche se le armi russe sono lungi dal tacere e si allungano le colonne dei mezzi militari che viaggiano verso il fronte di Kiev.
Domina, insomma, una grande incertezza e la preoccupazione che l’elastico dei rapporti internazionali possa tendersi fino a rompersi con conseguenze ancor più drammatiche. Si fa sentire ovviamente la retorica e la confusione delle informazioni che accompagnano la guerra, e si affrontano logiche imperiali, tradizioni politiche e di governo radicalmente diverse, perché le ragioni dei princìpi non sono uguali dappertutto e, va ricordato, per chi guarda da questa parte del mondo coincidono con la democrazia e la libertà di autodeterminarsi che vale sia per gli individui che per le nazioni.
La fermezza dell’Europa e degli Stati Uniti contende con la determinazione di Putin che certo non vorrà uscire a mani vuote da questa storia.
Impossibile fare previsioni. Impossibile capire se, insieme alla resistenza ucraina sul campo, l’unità dell’Occidente attorno al paese invaso rappresenterà un deterrente e aprirà a un confronto che congeli quello militare, oppure inasprirà ulteriormente il conflitto.
L’incertezza sotto il cielo dell’Europa è grande.