VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

La Guerra in Europa

Di Guido Barlozzetti

 

Dura quasi da tre settimane la Guerra. La guerra che l’Europa non conosceva dalla fine della Seconda Guerra mondiale, a parte i conflitti innescati dalla dissoluzione della Jugoslavia post-Tito. La Guerra che abbiamo visto in televisione, o meglio che ci hanno raccontato con tutti i dubbi che si possono avere su chi la racconta e perché, e per come, nel Vietnam tra i Sessanta e i Settanta del Novecento, e poi la Guerra del Golfo e, dopo l’attentato alle Twin Towers, l’Iraq e l’Afghanistan, e ancora il coacervo della Siria, russi e americani, Isis e resistenti al governo di Assad. Erano guerre, certo, ma con tutti gli orrori che le segnano, tenute a distanza, addomesticate dal fatto che non fossero prossime, fin quasi sull’uscio di casa.

E invece questa iniziata giovedì 24 febbraio con i carri armati della Russia che entrano nel territorio dell’Ucraina si è accesa nel cuore dell’Europa, in un paese che sta al confine con quelli che fanno parte dell’Unione Europea e, in parte, della Nato, l’alleanza militare occidentale nata per contrapporsi al Patto di Varsavia dei paesi comunisti e dell’URSS, nell’epoca di una Guerra che veniva chiamata Fredda perché fondata sulla reciproca contrapposizione ma con le armi bloccate dal deterrente atomico.

Dunque, è Guerra. E per gli occidentali e gli Ucraini è guerra d’invasione perché l’evidenza è quella dei confini sfondati, delle colonne senza fine di mezzi militari russi, di bombe che tirano giù palazzi, di profughi che cercano una via di scampo, di civili inermi travolti dai combattimenti e di residenti che non vogliono abbandonare la casa e parlano da un corridoio o da un seminterrato. Perché questo vediamo dalla finestra della televisione. L’esercito di un Paese che entra nella terra di un altro, infrangendo un principio fondamentale della convivenza internazionale, l’inviolabilità dei confini fra gli Stati. Ciò che ha portato a una condanna da parte di una larghissima maggioranza dell’Assemblea delle Nazioni Unite con 100 sì, 11 no e 55 astensioni. Il riconoscimento dell’aggressione russa e la richiesta di cessare nell’uso della forza e ritirarsi. E va subito notato che tra gli astenuti figurano Cina, India, Iran, Iraq e le repubbliche asiatiche che facevano parte dell’URSS, a conferma della complessità geopolitica con cui la questione della guerra interferisce.

In ogni caso, la Russia respinge l’evidenza del conflitto, ha vietato ai media di parlare di “invasione” e fa arrestare a migliaia quelli che manifestano contro.

E la Russia è il presidente Putin, vertice apparentemente inossidabile di una nomenklatura politico-economico-burocratica che con la Chiesa ortodossa è il pilastro dello Stato e del potere che lui incarna. Ha ripetuto - ognuno in questa vicenda terribile fa la ricostruzione che più gli conviene - che l’Ucraina è la finzione di una nazione da sempre nell’orbita della Russia, e che minaccia inaccettabile è la volontà della Nato di inglobarla nell’Alleanza.

E qui si tocca il punto nodale. Il Paese infatti appartiene a quella fascia dei cosiddetti Paesi dell’Est che l’Armata Rossa inglobò sotto il controllo dell’URSS alla fine della seconda guerra mondiale e che restarono dalla parte orientale della “Cortina di ferro” che Churchill vide calare da Stettino a Trieste.

Era uno scenario che sembrava immutabile fino a quando, nel 1989, dopo il tentativo riformista di Gorbacev, l’Unione Sovietica crollò lasciando il posto alla Russia di Eltsin e alla diaspora dei paesi confinanti, molti dei quali nel tempo sono entrati nell’Unione Europea e, non tutti, nella Nato: Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Slovenia, Ungheria. Adesso, forse, da un lato, ci si rende conto - da entrambe le parti e per motivi opposti - di un’accoglienza troppo generalizzata e frettolosa. Ma il tempo è oramai passato e adesso c’è la Guerra.

Dopo un tempo delle trattative sempre più spigoloso e tortuoso, alla fine i Russi hanno attaccato l’Ucraina con il proclama putiniano di volerla “demilitarizzare e denazificare”. Un obiettivo che ha sullo sfondo la Presidenza ucraina di Volodymyr Zelensky, un cammino populista fondato sulla notorietà di attore televisivo, un’elezione al secondo turno con il 73% dei voti, dichiaratamente ostile ai Russi.

Ed è anche il caso di ricordare come il leader dell’Ucraina esca da una conflittualità aspra che dalla fine dell’URSS ha visto alternarsi presidenti ora filorussi, ora filo-occidentali, la Russia occupare la Crimea, mentre nell’Est del paese si sono formate le Repubbliche indipendenti del Donetsk e del Lugansk, entrambe appena riconosciute da Mosca.

Zelensky, dai nascondigli che dovrebbero proteggerlo dai sicari russi, non cessa di richiamare alla resistenza e alla lotta patriottica, e replica appelli a tutti i possibili interlocutori occidentali affinché sostengano la lotta del popolo ucraino. Una richiesta comprensibile da parte sua e coerente con il principio dell’autodeterminazione dei popoli e con la volontà di aderire all’area geopolitica dell’Occidente, ma anche rischiosa perché un qualunque intervento diretto dei paesi della Nato - per non parlare dell’eventuale approvazione della no flight zone - innescherebbe un’imprevedibile escalation militare, tenendo conto anche dell’allerta - una cortina fumogena, un bluff, una minaccia reale? - che Putin ha decretato per le armi atomiche. En passant, se si toglie la crisi di Cuba (i missili russi collocati davanti agli Stati Uniti), dalla fine della Seconda Guerra Mondiale nessuno le aveva mai nominate. Sono entrate nei discorsi e nell’agenda.

E dunque aiutare sì, ma fino a che punto? E in quale modo?

Il dibattito che ogni sera anima i talk show vede contrapporsi posizioni, in larga parte filo-occidentali a favore dell’Ucraina e della sua resistenza, accanto a chi invece attacca i due opposti imperialismi, che poi sarebbero quello russo e quello americano, oppure chi cerca di riportare l’attenzione sulle ragioni che sarebbero alla base delle decisioni di Putin.

E’ chiaro che si affrontano piani diversi. Impostazioni che affondano nella storia dell’Europa e della Russia - e già lì riesce difficile isolare una versione univoca, chi ricorda che, verso la fine del IX secolo, il Rus’ di Kiev fu la più antica formazione statale nell’area slavo-orientale, chi invece richiama l’attenzione sulla vocazione imperiale della Russia, trasversale a zar e bolscevichi.

E poi punti di vista politicamente connotati (e non sempre con la dovuta trasparenza) in cui riemergono ostilità nei confronti dell’America e nostalgie surrettizie verso la fu Unione Sovietica, e ancora le bandiere del pacifismo e le visioni ispirate alla realpolitik che guarda dritto al braccio di ferro tra (super) potenze che si confrontano sulle zone d’influenza e nella guerra - già in atto e da parecchio, se non da sempre - per le materie prime, in cui si è disposti anche a passare sopra la testa dei disgraziati ucraini pur di arrivare a un compromesso che arresti la guerra concedendo qualcosa a Putin - ma cosa? E quanto dell’Ucraina che peraltro dice no a qualunque concessione territoriale? - e ancora le rivendicazioni in nome del diritto internazionale e dei i diritti civili vessati dall’autoritarismo di Putin.

Tutto ciò, nei talk della tv, s’intramezza con il live degli inviati speciali dalle città dell’Ucraina, Kiev, Leopoli, Dnipro…, degli ucraini rinchiusi in casa, con le immagini degli effetti dei bombardamenti o dei civili colpiti, di contro a un elicottero russo abbattuto o a un carro armato in fiamme, con le notizie sui corridoi umanitari che non durano o sui tentativi di dialogo che si aprono all’ombra della Turchia o della Cina.

Intanto, rimossa per il lungo intervallo sopravvenuto al conflitto mondiale, la Guerra continua nel cuore dell’Europa.

 

Torna alla Homepage di Rai Easy Web