di Guido Barlozzetti
Parlare di catastrofe per quello che è successo in Canada e Germania in queste settimane potrebbe sembrare una concessione all’enfasi mediatica, un’eco dei titoli allarmati ed emozionali dei giornali e dei tg, ma gli accadimenti del meteo che si sono verificati, in particolare, nell’area di Vancouver e in Renania/Vestfalia sono stati tanto sconvolgenti quanto impressionanti per la potenza inedita dei fenomeni e per le conseguenze sia nel numero delle vittime, sia sul piano della devastazione ambientale. Segnali, questa è l’interpretazione diffusa che ci pare di poter condividere, perché nulla accade a caso, segnali drammatici che ammoniscono e intimoriscono sugli effetti del cambiamento climatico, con la paura crescente che siano irreversibili di contro alla speranza che ci sia qualche margine per invertire quella che sembra appunto una fatale linea di tendenza.
Di certo, siamo di fronte a fenomeni estremi e cresce inevitabilmente il timore che possano ripetersi e che nessuna area possa illudersi di esserne indenne. E inevitabile si fa il rimando al discorso ormai di tutti sul climate change e dunque sul mondo che ci attende e che soprattutto attende le generazioni che verranno. Una volta si parlava di “catastrofi naturali”, adesso cominciamo ad essere consapevoli di quanto Il pianeta sia sempre più esposto a processi che potrebbero alterare le stesse condizioni della vita e nei quali è decisivo il ruolo che l’uomo ha svolto in relazione all’ambiente e all’equilibrio che dovremmo garantire. E dunque urgente è che si realizzi quel concorso internazionale volto ad abbattere i livelli di emissioni di gas nocivi, con la Co2 che aumentando esponenzialmente produce il terribile effetto serra.
Stupore e sgomento. Il caldo e la pioggia, fanno parte del panorama abituale del clima, rientrano nelle abitudini, lo sappiamo che d’estate la temperatura sale e che i temporali sono sempre in agguato e tuttavia prima degli incendi canadesi e dell’alluvione tedesca sarebbe stato difficile immaginare, nel primo caso, un termometro che sfiora i 50° e, nell’altro, i 150 mm. di pioggia che sono venuti giù su ogni metro quadrato tra il 14 e il 15 luglio.
Internet che oramai ci fa vedere tutto, ha riversato sui nostri sguardi incerti e smarriti immagini su immagini, case e paesi divorati dal fuoco, gigantesche correnti di acqua e fango che hanno attraversato città e portato via tutto quello che hanno incontrato. L’acqua e il fuoco fuori di ogni controllo, come accade in certi film del cosiddetto filone catastrofico. Ma ormai neanche il cinema sembra in grado di competere con l’eccesso di queste manifestazioni.
Cosa è successo? Nella Columbia Britannica, dove nella stagione estiva non si va mai oltre i 20° , si sono raggiunti i 49.6 - il record precedente risale al 1937 ed era di 45° - e, complice la siccità, le fiamme hanno divorato in venti minuti il paese di Lytton. L’incendio è stato repentino - un dato sconcertante che lascia impotenti - pochi minuti per evacuarlo, con venti a oltre 70 km. e una velocità delle fiamme da 10 a 20 km. all’ora che non hanno lasciato scampo alle abitazioni. Ma è il caldo ad aver causato 719 casi di morte improvvisa, una cifra tre volte superiore alla media dei decessi. Oltre al miliardi animali marini che si pensa siano stati uccisi con effetti devastanti sull’ecosistema. Lumache, stelle marine, cozze, vongole tutte a marcire nell’acqua diventata troppo calda.
La spiegazione meteo si chiama heat dome, la cupola del caldo, generata da un differenziale di temperatura dell’Oceano Pacifico, più alta nella parte verso l’Asia, più bassa in quella verso l’America, con il risultato che la differenza di pressione ha fatto spostare il vento riscaldato dalla superficie dell’Oceano: incrociandosi con La Nina, la corrente fredda che scende da Nord e attraversa il continente americano, ha determinato quella condizione fiammeggiante.
“L’alluvione del secolo”, l’hanno chiamata così l’ondata di maltempo che ha investito un’area tra Germania, Olanda e Lussemburgo. Qui si è verificata una convergenza tra flussi caldi e correnti instabili e più fresche in discesa da nord, un fenomeno - dicono i meteorologi - che può essere plausibile per il Mediterraneo ma non certamente per l’Europa settentrionale. Edifici crollati, villaggi evacuati, il timore che una diga, quella di Steinbachtal, potesse crollare, duecento vittime, moltissimi dispersi, dovuti anche al black-out delle comunicazioni.
Segnali, abbiamo detto. Nella scienza ci sono punti di vista diversi, alcuni sottolineano la differenza tra il tempo meteorologico che si misura sui giorni, mentre il clima è sottoposto a variazioni che per essere misurate hanno bisogno di seriazioni sul lungo periodo e la scienza da questo punto di vista può contare su un archivio attendibile da poco più di un secolo. Dunque, attenzione a dare un sovraccarico di significato a eventi che potrebbero anche essere congiunturali e che comunque sarebbe sbagliato interpretare automaticamente come un’anticipazione di quello che ineluttabilmente sarà se non prendiamo provvedimenti.
Tuttavia, l’entità, la ricorrenza e la distribuzione dei fenomeni sono tali da non poter essere sottovalutate e le macerie - insieme ai termometri - sono lì a ricordarci di una minaccia che richiama alla responsabilità di tutti e mette in discussione lo stesso modello di sviluppo si cui abbiamo costruito nella modernità le nostre società.