VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

Don Matteo rilancia e lascia

Di Guido Barlozzetti

 

Don Matteo fa 13 e forse va in pensione. Forse, perché con i personaggi della fiction non è mai detta l’ultima parola e anche quando sembrano essere usciti di scena definitivamente. In ogni caso, dopo un cammino più che ventennale il sacerdote più famoso e amato delle storie della televisione italiana è annunciato sul piede di partenza e toccherà a Raoul Bova raccogliere il peso non lieve dell’eredità.

Arrivato alla serie numero 13, Don Matteo è ancora in grado raccogliere 6.5 milioni di spettatori, il 30% di quelli che stanno guardando in quel momento la tv. Un esempio di straordinaria longevità inaugurato il 7 gennaio del 2000 e proseguito con 255 episodi (esclusi quelli dell’ultima serie).

Doveva inizialmente chiamarsi Teodoro e nasceva da un’idea del regista-sceneggiatore Enrico Oldoini, versato nella commedia cinematografica come anche Alessandro Bencivenni e Domenico Saverni, i due responsabili dei soggetti di serie. Negli anni, ovviamente, si sono alternati registi e sceneggiature, squadre diverse che però hanno sempre mantenuto lo spirito originario, vale a dire l’ispirazione di un personaggio divenuto il testimonial di un’intera concezione della fiction. Che si fa presto a ricondurre alla semplicità dei buoni sentimenti, come se fosse facile fidelizzare il pubblico per più di vent’anni su un personaggio. E allora quali sono le qualità che hanno consentito a Don Matteo di imporsi e… durare? Più di uno e tutte convergenti nel risultato.

Anzitutto lui. Un prete, certamente non il primo apparso in tv, basti pensare ai Racconti di Padre Brown, da Chesterton, interpretato da Renato Rascel, lasciando stare quelli del cinema, in testa il Don Camillo interpretato da Fernandel nella serie gloriosa anni Cinquanta ispirata a Giovanni Guareschi con il Peppone di Gino Cervi.

E il prete, quel prete, viene benedetto non a caso, oltre che dalla Rai, dalla Lux Vide, la casa di produzione fondata da Ettore Bernabei, mitico direttore generale e dominus nel tempo della Rai in monopolio e all’ombra dello scudo crociato. Esce cioè da un’idea di racconto popolare, ancorato fortemente a valori che mettono al centro la famiglia, l’amore per il prossimo, la condivisione, il perdono.

Ecco, Don Matteo è un prete misericordioso, così aperto agli altri da far pensare a un angelo caduto in terra, venuto a farsi carico delle sofferenze e delle brutture del mondo: il male c’è, accade, gli assassini uccidono per invidia, rapacità, gelosia, crudeltà, e Don Matteo alla fine comprende, non assolve ma riporta nel cerchio provvidenziale di Dio. Un piccolo e umanissimo sembiante di Cristo, messo su una bicicletta, disponibile a parlare con tutti e pronto a ricucire torti e incomprensioni.

E qui ecco un altro elemento del successo, Don Matteo è non soltanto un prete ma anche un detective, ogni volta infallibile e capace di sbrogliare la matassa, peraltro mai così efferata da inficiare il tono comedy della serie. Dunque, il riso leggero del racconto e il giallo, un mix potente per colpire il pubblico, che diventa irresistibile quando la scelta dell’interprete cade su Terence Hill - sembra che fossero stati presi in considerazione anche Lino Banfi e Giancarlo Magalli - e cioè sul protagonista di un cinema amato dal pubblico, divertente e goliardico, comico e fumettistico, una boccata d’aria genuina dove nessuno si fa mai veramente male e tutto finisce con una simil-scazzottata e un piatto di fagioli.

Il tutto sostenuto da un fenomenale assortimento di coppia che vede Terence accanto a Bud Spencer. Il magro e il grassone muscolare. L’astuzia e la forza bonaria. Terence lo conoscono grandi e piccoli e vestirlo da prete con la trasparenza di quegli occhi azzurri è una sfida vincente e, oltretutto, qui per la prima volta recita con la sua voce (prima era sempre stato doppiato). Per completarsi il piano ha bisogno ancora di due elementi, un ambiente e una compagnia.

Il primo viene trovato in Umbria e non a caso, il cuore verde dell’Italia, la terra di San Francesco, che vuol dire Assisi, la povertà, il Cantico delle creature.. e la fede di tante mistiche. E allora ecco uno dei tanti centri storici che la impreziosiscono, Gubbio con i suoi saliscendi, i palazzi e le piazze medievali. E poi bisogna mettere qualcuno accanto a Don Matteo, un’umanità che torni da un episodio all’altro, un coro che lo accompagni nel privato e nel pubblico e costruisca un sistema di relazioni con cui il pubblico si familiarizzi.

Anche questo è stato uno dei motivi del successo, l’avere costruito una squadra sintonica e simpatica. Da un lato, i Carabinieri e la caserma dove spiccano il maresciallo Cecchini di Nino Frassica, l’abilità consumata e confusionaria dei giochi di parole, dei doppi sensi, e il capitano Anceschi di Flavio Insinna, un poco confusionario e marito della sindaca di Gubbio. Dall’altro, nella canonica, i perpetui Natalina Diotallevi (Nathalie Guetta) e Filippo-Pippo-Gemignani Sarfati (Francesco Scali).

Se si aggiunge un caso da risolvere a puntata, il gioco è fatto. Nel tempo su questa felice inerzia sono state introdotte molte variazioni, è cambiato il capitano - con Giulio Tommasi/Simone Montedoro e poi Anna Olivieri/Maria Chiara Giannetta - e la famiglia della canonica si è arricchita di entrate e uscite. E anche Don Matteo ha dovuto spostarsi, da Gubbio a Spoleto. Insomma, la serie ha offerto un esempio felice di come si possa conciliare ripetizione e cambiamento senza pregiudicare l’ascolto, anzi. Adesso, si annuncia una svolta sostanziale, un vero e proprio passaggio di stato che riguarda lo stesso protagonista.

Decisione ardua e delicata toccare il perno storico del racconto, il volto affidabile che ha cementato così a lungo gli spettatori, ma il tempo passa, Terence Hill viaggia oltre gli ottanta anni e gli autori hanno pensato che sia arrivato il momento di un passaggio di consegne.

Così, nel passato di Don Matteo si scoprirà una ferita che lo porterà a rimettere in discussione sentimenti, legami e se stesso, e a un certo punto a scomparire.

Al suo posto, dietro l’altare una mattina Pippo e Natalina scopriranno Don Massimo, un prete assai diverso da quello che conoscono. Un istinto solitario, una tempra da contadino, un passato da uomo come tutti e un legame misterioso con lo stesso Don Matteo… A interpretarlo è stato chiamato Raoul Bova, una storia di cinema-fiction e un’immagine completamente diversa da quella di Terence Hill, ma forse se si doveva cambiare, meglio una novità che cercare un suo emulo.

Le incomprensioni, i sospetti e addirittura i rifiuti dei fedeli non saranno pochi.. metafora ed esorcismo del rapporto che il nuovo protagonista, interpretato da Raoul Bova dovrà stabilire con il pubblico della serie.

 

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