VITE E FATTI MEMORABILI (ALMENO PER ORA)

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Stefano D’Orazio, una vita da Pooh

di Guido Barlozzetti

 

E’ sempre difficile parlare della vita e della morte di un uomo. Si rischia di semplificare, di raccoglierne gli aspetti che ne hanno fatto un personaggio pubblico, a certificare un percorso e stilare un epitaffio. Di Stefano D’Orazio, morto a 72 anni per complicazioni intervenute a causa del Covid, è ovvio dire che è stato il batterista dei Pooh e ha partecipato a un’avventura che nel 2015 aveva celebrato i cinquant’anni. Dunque, un capitolo non secondario della musica leggera italiana con uno straordinario coinvolgimento di fans.

“Abbiamo perso un fratello, un compagno di vita, il testimone di tanti momenti importanti, ma soprattutto, tutti noi, abbiamo perso una persona per bene, onesta prima di tutto con se stessa. Preghiamo per lui. Ciao Stefano, nostro amico per sempre...”, così scrivono sul sito del gruppo Roby, Dodi, Red, Riccardo.

Una storica reunion quella del 2015, che aveva visto insieme con D’Orazio Roby Facchinetti, Red Canzian, Dodi Battaglia e Riccardo Fogli. Era finita una storia e D’Orazio l’aveva capito, forse prima dei suo compagni. Alla fine di un tour a Milano, dopo aver cantato un inedito a quattro voci, Ancora una notte insieme, aveva annunciato di lasciare il gruppo.
Aveva spiegato al pubblico di “aver detto tutto” e che era arrivato il tempo di trovare nuove suggestioni.

In effetti, i Pooh costituivano un miracolo di longevità che li avevano via via trasformati in una sorta di accompagnamento del Paese, una colonna sonora che aveva accumulato successi su successi con quella qualità che hanno le canzoni di interpretare una condizione sentimentale e di fare di un gruppo una sigla di immediata riconoscibilità, che promette quello che mantiene.

I Pooh erano stati capaci di creare un mondo in un rapporto di sintonia profonda con il pubblico più largo, tale da superare le barriere generazionali e di replicarsi nel tempo. Tanta voglia di lei, Noi due nel mondo e nell’anima, Pensiero, La donna del mio amico, La mia donna, Ci penserò domani, Chi fermerà la musica, Dammi solo un minuto, Piccola Katy, Nascerò con te… i Pooh hanno cantato con l’Italia e l’Italia ha cantato con i Pooh. E Stefano D’Orazio è stato il batterista e la colonna di una formazione che, dopo l’uscita di Riccardo Fogli, si è cementata nello storico quartetto con Facchinetti, Canzian e Battaglia.

D’Orazio era entrato nel settembre del 1971, dopo una lunga gavetta che lo aveva visto, lui romano, passare attraverso tante formazioni della Capitale, Kings, Sunshines, Italo e il suo complesso, I naufraghi, Planets, Pataxo and the Others, Il punto... Nel frattempo aveva collaborato alla colonna sonora di Oxram, uno spettacolo di Carmelo Bene e Cosimo Cinieri in scena al Beat 72, aveva aperto un paio di cantine-club dove si esibivano i gruppi inglesi che venivano dal Piper, lavorato come turnista alla Rca e tentato la strada del cinema a Cinecittà, comparendo in Rita la figlia americana, Capriccio all’italiana nell’episodio Il mostro della domenica, Bill il taciturno, Django spara per primo, Due croci a Danger Pass, Little Rita nel Far West

L’incontro con i Pooh era arrivato quando il batterista Valerio Negrini aveva deciso di dedicarsi solo alla composizione di testi. C’era stata qualche perplessità del produttore Giancarlo Lucariello, ma un tour di rodaggio in Sardegna aveva convinto tutti.

Si dedicò anche lui ai testi e cinque anni dopo convinse i compagni a cantare ogni motivo a quattro voci alternate, al posto del consolidato duo Facchinetti/Battaglia. Accanto al versante artistico, contribuì molto anche a quello organizzativo. Una chiave non secondaria del successo e della durata dei Pooh che dall’inizio si sono preoccupati di controllare tutto il ciclo del prodotto, dalle sale di registrazione alle edizioni discografiche alla gestione dei tour. “Lui è stato un riferimento costante per i Pooh - ricorda Red Canzian - Aveva un pensiero forte, che volava alto, proiettato verso il futuro, una capacità di analisi e sintesi invidiabile. Per lui il lavoro era un gioco. Sapeva sempre cogliere il lato comico delle situazioni. L’ironia era una sua caratteristica. Una bella persona, un grande professionista. Non aveva la mentalità dell’orchestrale, non ha mai operato nell’ottica “prendiamo quello che c’e’ da prendere”, ma ha pensato agli investimenti, a volte anche più alti dei guadagni, e questo ci ha fatto arrivare al 50ennale. Era un imprenditore”, un giudizio che rende conto dell’intensità di un rapporto e del ruolo che ha svolto D’Orazio.

Lasciati i Pooh, si era molto dedicato alla scrittura dei testi per i musical, da Aladdin a Mamma mia (per la versione italiana dello spettacolo degli Abba e su loro richiesta), da Pinocchio a W Zorro con le musiche di Roby Facchinetti, a Cercasi Cenerentola. Poi, un progetto con Facchinetti su Parsifal tra opera rock e sinfonia.

Aveva avuto anche modo di scrivere due libri, Confesso che ho stonato/Una vita da Pooh e Non mi sposerò/Come organizzare un matrimonio perfetto senza alcuna voglia di sposarsi, anche se alla fine (2017) era convolato a nozze con Tiziana Giardoni, insieme già da otto anni.

Aveva continuato anche a scrivere canzoni. E una è il caso di ricordarla, perché dice di una volontà e di una generosa determinazione. Si intitola Rinascerò rinascerai ed era nata nello scorso marzo nell’emergenza Covid, un omaggio a una città così dolorosamente provata come Bergamo. Cantata da Roby Facchinetti, l’obiettivo di raccogliere fondi per gli ospedali.
Adesso, la fine.

 

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