di Guido Barlozzetti
Nell’effimera storia della televisione Raffaella Carrà ha più di un titolo per insediarsi, così come lo è stata nell’affetto del pubblico che l’ha seguita nelle tante e diverse stagioni di una carriera cominciata all’inizio degli anni Sessanta. Adesso, è il tempo dei ricordi e della commozione, come accade quando esce di scena uno di quei protagonisti che fanno parte della cerchia degli amici che gli spettatori accolgono nel guscio domestico instaurando un reciproco rapporto di simpatia e fedeltà. E Raffaella Carrà, morta ieri dopo una malattia rimasta nascosta dietro il velo della discrezione, di questa relazione è stata un’interprete per tanti versi originale, nel segno di una continuità tutta giocata sulla trasversalità dell’empatia e di un’immagine che ha saputo sempre trovare le chiavi d’accesso al desiderio del pubblico. E non solo in Italia come dimostra il grande successo che con Hola Raffaella! conquistò in Spagna in particolare, ma anche in tanti altri paesi europei e nell’America Latina, anche in questo caso a dimostrazione di un feeling immediato, di un alone seduttivo, complice e vitale capace di arrivare subito al cuore più sensibile di chi la guardava e l’ascoltava. Come ha registrato lo scorso anno una per certi versi sorprendente celebrazione dell’inglese Guardian con un titolo “Raffaella Carrà: the Italian pop star who thaught Europe the joy of sex” che ne esaltava il ruolo nell’emancipazione di un Paese all’ombra della Chiesa: “Un’icona culturale che ha rivoluzionato l’entertainment italiano e ha dato alle donne la possibilità di prendere l’iniziativa in camera da letto”.
Un giudizio memore dell’epifania dell’ombelico nella Canzonissima del 1970 e del “Tuca tuca” con Enzo Paolo Turci a percorrerne la silhouette nell’edizione dell’anno successivo, su cui avrebbero prevalso gli strali ecclesiali se non fosse stato per lo sdoganamento grazie alla performance irresistibile con Alberto Sordi che eccitò il plebiscito del popolo tutto. E, tuttavia, un giudizio che, nell’enfasi sulla trasgressione, non coglie la duttilità di Raffaella che a tutta la famiglia ha sempre guardato, gli ormoni dei mariti, i desideri delle mogli e pure quelli dei bambini, affascinati dalla sua mise di Maga Maghella che colloquiava con un timido e innamorato Topo Gigio.
Una lunga storia che si è via via adeguata ai tempi e in cui lei è entrata con la seduzione del corpo e un’intelligenza reattiva come un radar che capta le emozioni del pubblico e gliele restituisce con un appeal irresistibile. Una e molteplice è stata Raffaella che si chiamava Pelloni, come il brigante che infestò le Romagne nell’Ottocento, la terra in cui visse l’infanzia prima di entrare a otto anni nella scuola di danza romana di Jia Ruskaja, e che quel cognome cambiò nei Sessanta su suggerimento di un regista di sceneggiati, Dante Guardamagna, che amando la pittura la convinse a diventare…Carrà.
E’ stata, dopo il Centro Sperimentale di Cinematografia, attrice di Florestano Vancini ne La lunga notte del ’43 e ne I compagni, come anche in un rapido e senza ulteriori code passaggio hollywoodiano in cui ne Il colonnello Von Ryan fu accanto a Frank Sinatra, per poi passare per sceneggiati e arrivare alla ribalta degli show televisivi, facendosi subito strada in Milleluci accanto a una sacerdotessa come Mina. Di lì sono arrivate le Canzonissime e Fantastico, e lei a presentare, ballare e cantare canzoni iper-energetiche e sempre sul bordo di un ammiccamento sorvegliato, A far l’amore comincia tu, Rumore, Tanti auguri, Fiesta, Forte forte forte, Chissà se va.
Ma questa vocazione familiare così consona alla tv generalista ha almeno un altro paio di momenti memorabili.
1984, è il tempo in cui più accesa è la competizione tra il servizio pubblico e la televisione commerciale di Silvio Berlusconi. La Rai cerca di conquistare territori nel palinsesto quotidiano e affida a Raffaella - e all’astuta regia di Gianni Boncompagni - una trasmissione nella fascia meridiana che subito spopola. È la trasmissione dei fagioli nel barattolo di cui il pubblico al telefono - porta irresistibile che ammette lo spettatore nell’Olimpo della tv - deve indovinare il numero, con Raffaella che gestisce da signora televisiva il salotto ed entra stabilmente nelle case con il suo mix irresistibile, addomesticato e perfettamente in linea con un’idea consensuale, divertita e leggera di un intrattenimento in cui lei porta la sua verità, a misura delle famiglie ma non dimentica degli estri che suscitano la sua disinvoltura, il caschetto biondo e un’immediatezza che non s’impara da nessuna parte.
E dieci anni dopo, Carramba che sorpresa! Un altro botto negli ascolti che traduce per l’Italia un format inglese, Surprise, Surprise, e inaugura una nuova stagione dove fanno spettacolo i sentimenti degli uno, nessuno e centomila che si annidano nel pubblico e dove la televisione diventa lo spazio magico in cui contravvenire al destino e riallacciare rapporti e storie che sembravano per sempre interrotte. Superano i dieci milioni gli spettatori che guardano il programma e Raffaella è ancora una volta la fatina che rende possibile l’impossibile e inaugura una televisione della lacrima ipernazional-popolare che fa storcere il naso agli intellettuali già diffidenti nei confronti delle nefaste influenze del piccolo schermo, che vi vedono un cedimento insopportabile alla più epidermica emozionalità e il ricatto dei buoni sentimenti.
Anche qui si apre una strada che avrà epigoni clamorosi (per tutti, Alberto Castagna e Stranamore… e poi a seguire i reality) e che Raffaella interpreta avendo il sesto senso che la mette istantaneamente in sintonia con i cordi e i precordi del pubblico. D’altronde, di questo è fatta quella televisione, del potere di suggestione che ha, della capacità di chi sa maneggiarlo e dell’attesa di chi guarda, del bisogno di rassicurazione che arriva da storie che si chiudono felicemente e non importa - anzi! - se nella vita non accade spesso.
Su quella scia, Raffaella dopo edizioni diverse di quel gancio carrambesco si era ri-provata nel 2006 in Amore, un programma che faceva leva sui sentimenti invitando il pubblico all’adozione a distanza (alla fine ce ne furono più di 130mila). Insomma, un mito sessuale-light, un’ospite del salotto e una magica e catodica divinità capace di intervenire nelle relazioni umane e di indirizzarle al meglio.
Questo ci lascia, la Carrà, la parabola di un “mostro” della televisione - nel senso etimologico della parola - di un potere metamorfico mai debordante al punto da far saltare i tabù ma sempre attivamente presente sul bordo in cui si toccano tradizione e trasgressione, seduzione e persuasione, e però anche il mistero di un’identificazione tra chi appare su un piccolo schermo e chi guarda.